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Guida agli investimenti 2014 OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

Quali saranno le migliori opportunità di investimento e gli scenari economici prevalenti nel 2014? OF prova a fornire un vademecum ragionato rispondendo a dieci interrogativi sulla base della ricerca e dell'esperienza dei maggiori investitori internazionali. Perché ricorrendo a qualche accortezza, come il 2013, anche il 2014 potrebbe essere un anno positivo per i risparmiatori

Guida agli investimenti 2014

Il 2013 è stato un anno favorevole per i risparmiatori. Le borse hanno segnato nuovi massimi (in Usa e in Germania), Milano ha recuperato parte del terreno perduto e i titoli di Stato dei paesi periferici, tra cui l'Italia, grazie alla discesa degli spread hanno generato buoni rendimenti.

Quali saranno le migliori opportunità di investimento e gli scenari economici prevalenti nel 2014? OF prova a fornire un vademecum ragionato rispondendo a dieci interrogativi sulla base della ricerca e dell'esperienza dei maggiori investitori internazionali. Perché ricorrendo a qualche accortezza, come il 2013, anche il 2014 potrebbe essere un anno positivo per i risparmiatori

Ecco le dieci domande:
1) Quale sarà l'evoluzione dell'economia globale. Siamo davvero fuori della crisi?
2) L'euro, la divisa comune europea, è fuori pericolo?
3) In Italia ci sarà la tanto attesa ripresa?
4) Che anno sarà, il 2014, per gli investitori?
5) Quali saranno, per i mercati finanziari, i maggiori rischi dei prossimi 12 mesi?
6) Le azioni saranno ancora il miglior investimento dell'anno?
7) I titoli a reddito fisso sono un rischio oppure un porto sicuro?
8) Conviene rimanere liquidi?
9) L'oro e le materie prime hanno buone probabilità di riprendersi?
10) La crisi dei rendimenti dei mercati emergenti è finalmente finita?

1) Quale sarà l'evoluzione dell'economia globale. Siamo davvero fuori della crisi?
La crisi economica e finanziaria iniziata nel settembre del 2008 con il fallimento della banca statunitense Lehman Brothers, a giudizio di tutti gli economisti, è stata la più grave della storia dopo la grande crisi del 1929. Ma ad oltre cinque anni di distanza dal debutto di questa difficile fase della storia economica mondiale i segnali di uscita dal tunnel sono consistenti. Innanzitutto la fine della recessione diventerà una realtà anche per l'eurozona, dopo un biennio di cali consistenti della ricchezza prodotta (-0,6% nel 2012 e -0,5% nel 2013).

Per l'anno appena iniziato i maggiori centri di ricerca economica, tra cui l'Ocse, stimano una ripresa del Pil aggregato dei paesi della zona euro di circa lo 0,5% mentre nel 2015 la crescita potrebbe raggiungere l'1,1% (la banca Goldman Sachs stima tassi superiori dello 0,5% in ognuno dei due anni). Si tratta di livelli di sviluppo modesti, soprattutto dopo che alcuni paesi, tra cui l'Italia e la Spagna, hanno visto ridursi la ricchezza nazionale di oltre il 5% lungo l'intero arco della crisi.

E tuttavia un biennio di segni più di fronte al dato del Pil europeo non potrà che aiutare a stabilizzare (anche se non a risolvere) i cronici problemi della sotto-occupazione e del debito pubblico dei paesi europei. E anche per gli investitori e i risparmiatori verrà a crearsi un ambiente più sicuro e capace di generare rendimenti positivi, sebbene forse non molto elevati. Se poi guardiamo al di fuori degli ormai angusti confini della regione europea possiamo constatare che anche il resto del mondo è, complessivamente, in uno stato di salute discreto.

Gli Stati Uniti, che nonostante tutte le loro magagne (non dimentichiamo l'incredibile storia dei veti incrociati al Congresso che nell'autunno scorso avevano portato il Paese sull'orlo del fallimento per l'incapacità delle forze politiche di trovare un accordo sulla legge di bilancio!) continuano ad essere la locomotiva del mondo, cresceranno nel 2014 ad un tasso di circa il 2,8%. E l'economia mondiale nel suo complesso (compresi dunque anche i paesi emergenti e il gigante cinese) dovrebbe viaggiare a una velocità compresa fra il 3,1 e il 3,4%, un tasso di sviluppo in linea con la media degli ultimi dieci anni. ---- 2) L'euro, la divisa comune europea, è fuori pericolo?
L'elemento più grave della crisi che ci stiamo faticosamente lasciando alle spalle non è legato soltanto alla contrazione del Pil, che misura la ricchezza prodotta dagli Stati, ma consiste nella grave instabilità finanziaria e al rischio di un crollo del sistema bancario che ha minacciato tutte le principali economie del pianeta e che è stato particolarmente grave in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Spagna e in Grecia (di fatto fallita e salvata soltanto grazie all'intervento dell'Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale).

In Europa la crisi finanziaria ha preso una piega ancora più grave, nella variante di una possibile insolvenza degli Stati, tra cui, appunto, l'Italia. Quando nel novembre del 2011 e nel luglio del 2012 il differenziale dei tassi di interesse pagati dai Btp decennali italiani rispetto a Bund tedeschi di analoga durata aveva ampiamente superato il 5% (i 500 punti di “spread”), il significato di questo premio per il rischio richiesto dal mercato era che l'Italia (e la Spagna) venivano percepiti dagli investitori come paesi che forse non sarebbero stati in grado di pagare il loro debito.

Se questo fosse avvenuto la tragedia del default (default vuol dire, tanto per intenderci, che lo Stato non è più in grado di pagare gli stipendi e le pensioni) si sarebbe riverberata sull'euro e avrebbe portato alla rottura (break up) della divisa comune europea. Ecco perché la crisi dell'euro e quella del debito sovrano dei paesi periferici (i famosi Piigs, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) sono state così strettamente collegate nel corso degli ultimi due anni. Oggi, all'inizio del 2014, i mercati scontano una tenuta della divisa comune europea e hanno rinunciato a scommettere contro l'euro.

L'artefice di questo risultato, oltre alla politica di austerità di bilancio degli Stati (pagata duramente, con più disoccupazione e meno crescita economica) è stato certamente il presidente della Bce Mario Draghi. Con la messa in opera dei meccanismi ESM (European stability mechanism) e le procedure di unione bancaria ormai avviate e quasi portate a conclusione, l'unione monetaria europea viene ad assomigliare a un sistema di banche nazionali federate, in cui un'unica autorità di controllo è in grado di garantire la solvibilità del sistema. A questa costruzione mancano ancora importanti tasselli, ma come scrive la banca Goldman Sachs in uno suo studio recente “i mercati hanno rinunciato a scommettere sullo scenario di una rottura dell’euro).” ---- 3) In Italia ci sarà la tanto attesa ripresa?
Il caso italiano rimane molto complicato. Dopo una contrazione del Pil del -2,6% nel 2012 e del -1,9% nel 2013, il 2014 dovrebbe segnare un punto di inversione, con una crescita modesta (+0,3% secondo la Bce) ma positiva. E la tendenza ha buone probabilità di proseguire anche nel 2015, con un tasso di sviluppo di circa l'1%. E' evidente che simili livelli di crescita non sono sufficienti a far considerare il paziente fuori pericolo. Uno studio recente della Royal Bank of Scotland, uno dei maggiori istituti bancari d'Oltremanica, sottolinea che “la crescita in Italia si sta stabilizzando, ma i problemi strutturali rimangono sul tappeto”.

Segue una dolorosa elencazione di mali profondi del nostro Paese. L'Italia dal 1990 a oggi è stata il paese europeo con il tasso di crescita economica più lento, pari ad appena lo 0,8% annuo contro una media dell'eurozona del +1,8%. Questo risultato negativo è la conseguenza di una mancanza di competitività dell'economia nazionale, della tassazione troppo elevata, della lentezza del sistema giudiziario, soprattutto nelle cause civili, di una eccessiva tutela del mercato del lavoro (sono degli anglosassoni che parlano), di un andamento demografico sfavorevole, caratterizzato da un tendenziale invecchiamento della popolazione e da una crescente differenziazione dei livelli di sviluppo e di remunerazione del lavoro tra il Nord e il Sud del Paese.

Se questi sono i mali “storici” che affliggono l'Italia è difficile pensare che il 2014, da solo, possa portare verso una risoluzione dei problemi. Esistono, a giudizio di Royal Bank of Scotland come di altri osservatori internazionali, alcune possibilità di cambiamento nella legislazione sul lavoro e negli incentivi allo sviluppo, che sarebbero in ogni caso favoriti da una maggiore stabilità politica. Tuttavia una possibile fonte di rischio per il sistema Italia deriva, nell'immediato, dall'esame dei bilanci bancari che verrà promosso dalla Bce nel corso della primavera prossima (AQR: asset quality review).

Se le banche italiane verranno giudicate troppo rischiose si renderanno necessarie nuove ricapitalizzazioni, il che andrebbe a detrimento di uno sviluppo del credito alle imprese. Infine, se consideriamo la borsa un termometro dello stato di salute di un paese (e non sempre lo è), non sorprende che nonostante le buone performance di Piazza Affari nel 2012 (+8%) e nel 2013 (+17%) il livello di capitalizzazione delle società quotate al listino di Milano disti ancora in media circa il 60% dai massimi raggiunti nel 2007. Allora, prima dello scoppio della crisi, l'indice Ftse Mib delle grandi imprese tricolori valeva circa 44mila punti. Oggi, nonostante i rialzi del passato biennio, non abbiamo ancora recuperato la quota dei 20mila punti. ---- 4) Che anno sarà, il 2014, per gli investitori?
Come abbiamo visto lo scenario macroeconomico è piuttosto positivo in tutte le aree del mondo (salvo forse in alcuni paesi emergenti, come il Brasile). Di conseguenza la possibilità di ottenere rendimenti di portafoglio positivi è, almeno in linea teorica, possibile. Tuttavia, e su questo punto quasi tutte le analisi concordano, sarà necessario ampliare il più possibile la gamma della diversificazione di portafoglio.

I mercati azionari, da tutti giudicati ancora in grado di crescere nel corso dei prossimi mesi, potrebbero infatti subire delle brusche battute d'arresto soprattutto se i tassi di interesse dovessero aumentare più rapidamente del previsto. Ecco perché conviene suddividere molto l'investimento azionario e bilanciarlo con scelte oculate nell'ambito del reddito fisso. E' probabile, che come spesso accade, il potenziale di rendimento delle varie classi di attivi siano sovrastimate all'inizio dell'anno.

Puntare a un obiettivo di performance del 3-4% è realistico, anche in un contesto in cui i rendimenti di azioni, obbligazioni e commodities saranno probabilmente inferiori nel 2014 rispetto al 2013. Caratterizzato, soprattutto nell'equity da un grande recupero, e nel reddito fisso da una inversione di tendenza, dovuta all'aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti e (moderatamente) in Germania. ---- 5) Quali saranno, per i mercati finanziari, i maggiori rischi dei prossimi 12 mesi?
Le minacce allo scenario sostanzialmente positivo di ripresa della crescita con bassa inflazione (nel 2014 i prezzi dovrebbero aumentare dell'1,1% in Europa, dell'1,6% negli Usa e del 2,3% in Giappone) sono numerose e non possono essere sottovalutate.
La più temuta è il “tapering” della politica monetaria degli Stati Uniti, vale a dire il graduale rallentamento degli acquisti di titoli del Tesoro e di mutui ipotecari cartolarizzati da parte della Fed allo scopo di immettere denaro fresco nel sistema economico.

Tali acquisti, che sono noti con il termine di “quantitative easing” hanno rappresentato un volume pari a 85 miliardi di dollari al mese per tutto il 2013 e dovrebbero diminuire gradualmente fino a cessare del tutto, probabilmente entro la fine del 2014. Quando a maggio dello scorso anno il presidente della Fed Ben Bernanke annunciò la politica del “tapering” i mercati reagirono in modo scomposto, con rialzi dei tassi di interesse di quasi tre quarti di punto e con perdite a doppia cifra sui mercati azionari. Il nuovo governatore della Fed, la signora Janet Yellen, che si è insediata proprio in questi giorni procederà dunque in modo molto cauto nella riduzione degli stimoli all'economia ma non si possono escludere a priori nuove scosse anche violente.

In Europa, ad aprile, il sistema bancario europeo dovrà affrontare l'esame dell'AQR, la asset quality review delle banche. In pratica la Bce sottoporrà gli istituti di credito a un esame di solvibilità per capire se esistono rischi di un ritorno della crisi finanziaria dell'ultimo bienno e, nel caso, correre ai ripari con opportuni aumenti di capitale da parte delle banche. Se le banche fossero costrette a ricapitalizzare pesantemente è probabile che i mercati azionari europei, e in particolare quello italiano, ne soffrirebbero pesantemente.

Molti osservatori annettono grande importanza anche ai rischi politici. Il 2014 sarà un anno elettorale negli Stati Uniti, con le elezioni di mid-term per il rinnovo del Congresso e del Senato. Spesso le elezioni di mid-term coincidono o determinano un cambiamento nella politica economica del paese. Analogamente, in Europa, le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo potrebbero diventare un elemento di instabilità se ci fosse una netta affermazione dei partiti antieuropeisti e populisti che a causa della crisi e della sfiducia verso le istituzioni comunitarie si sono molto rafforzati in questi ultimi due anni. ---- 6) Le azioni saranno ancora il miglior investimento dell'anno?
Dopo un 2013 a passo di carica (+53% il listino di Tokio, + 27% l'S&P500 americano +22% l'indice Stoxx 600 delle blue chip europee) è difficile che il 2014 possa bissare performance di questo livello. In ogni caso tutti gli studi delle principali banche e case di investimento internazionali danno ancora una valutazione positiva del potenziale rialzista delle borse. C'è tuttavia un consensus generalizzato sul fatto che i rendimenti saranno in media molto inferiori a quelli del 2013. E questo anche per ragioni valutative.

Dopo avere recuperato nel corso del 2013 quasi tutto il terreno perduto negli anni della crisi le borse internazionali hanno messo a segno nuovi massimi assoluti negli Stati Uniti e in Germania. Attualmente il rapporto prezzo/utili futuri è pari a 16,5 negli Stati Uniti e al 14,5 in Europa. Si tratta di soglie in linea con le medie storiche, ma al di là di questi valori, il rischio che si stia formando una pericolosa bolla sui mercati diventa reale.

Per questo una crescita fisiologica dei listini non dovrebbe andare oltre il previso aumento degli utili societari che negli Stati Uniti è stimato nell'ordine del 7-8% e in Europa varia, a seconda delle analisi, dal 4 al 16%.

Una grande banca come il Credit Suisse suggerisce di prendere una posizione articolata aumentando l'esposizione (overweight) verso le borse dell'eurozona (ma escludendo la Francia) e riducendo la Gran Bretagna. Overweight è il giudizio anche per il Giappone, mentre una maggiore cautela è suggerita verso gli Stati Uniti e i paesi emergenti. ---- 7) I titoli a reddito fisso sono un rischio oppure un porto sicuro?
Le obbligazioni sono state il grande affare del 2012 e, per quanto riguarda le emissioni governative italiane, anche del 2013. E questo perché la discesa dei tassi di interesse a livello mondiale ha favorito un aumento delle quotazioni per tutti i titoli già emessi. Basti pensare che nel biennio la performance dei Btp italiani ha superato il 20% a causa prevalentemente del rientro della crisi degli spread. Ma nel solo 2013 di Btp hanno fruttato in media il 6,04% mentre le obbligazioni di Stato americane, i Treasury, hanno subito una perdita media del -6,4%.

Negativo anche l'andamento medio dell'indice dei titoli di Stato internazionali, con un -7,4%. Ecco perché di fronte al rischio di un aumento dei tassi di interesse conseguente alla politica del “tapering” negli Stati Unti (vedi punto numero 5) gli economisti del gruppo francese Société Générale suggeriscono di ridurre (underweight) le posizioni sulle obbligazioni governative europee, britanniche e statunitensi e rimanere neutrali verso le emissioni societarie. Non tutti condividono questa impostazione.

Gli economisti di Morgan Stanley, per esempio, continuano ad avere una visione nettamente favorevole al debito dei paesi periferici dell'euro, nell'ipotesi che gli spread di rendimento rispetto al bund tedesco possano scendere ancora (come hanno dimostrato i primi giorni delle quotazioni di gennaio). Ma secondo Morgan Stanley, oltre alle tradizionali emissioni di Italia e Spagna, meritano attenzione i bond di lungo termine dei paesi periferici maggiormente colpiti dalla crisi. In particolare Grecia e Portogallo. ---- 8) Conviene rimanere liquidi?
La liquidità è l'àncora di salvezza delle fasi più difficili. E visto che i mercati stanno sostanzialmente ritornando in equilibrio dopo un quinquennio vissuto molto pericolosamente, ecco che lo spazio di portafoglio per gli strumenti di investimento “a vista” tende a calare notevolmente. La liquidità dunque non svolge più la funzione di “bene rifugio” che ha ricoperto nel biennio di massima crisi dell'euro.

I rendimenti degli strumenti di liquidità, del resto, si stanno allineando verso il basso, con il Bot a 12 mesi attestato intorno allo 0,7% e i rendimenti dei conti di deposito online e non, in forte calo, sebbene alcune offerte riescano ancora a garantire un 2% netto per le somme depositate con vincolo a 12 mesi. Sebbene la liquidità abbia perso molto dei suo fascino in un contesto di stabilizzazione dei mercati vale la pena ricordare che il confronto per valutare la convenienza negli strumenti di liquidità deve essere fatto con l'andamento del tasso di inflazione. I primi dati di gennaio hanno confermato che in Italia l'inflazione media del 2013 è stata di appena l'1,2% e i dati tendenziali di novembre e dicembre fanno ipotizzare una discesa del costo della vita al di sotto dell'1% nel 2014.

Anche a livello europeo le stime prevalenti attribuiscono al tasso di inflazione dell'eurozona valori di poco superiori all'1%. Di conseguenza l'investimento in liquidità realizzato attraverso i conti deposito più efficienti, oppure attraverso i bot a un anno riesce a mantenere intatto il valore “reale” del capitale “parcheggiato”. E' probabile che nel corso dei prossimi mesi i rendimenti sia dei Bot che dei conti di deposito continueranno a scendere. Tuttavia per chi è totalmente avverso al rischio, in uno scenario di inflazione così bassa, la scelta della liquidità può ancora essere una soluzione vincente. ---- 9) L'oro e le materie prime hanno buone probabilità di riprendersi?
L'oro e le materie prime sono state una delle grandi delusioni del 2013 e con ogni probabilità continueranno ad esserlo anche nel 2014. A fine dicembre dello scorso anno l'arretramento del metallo giallo sfiorava il 30% rispetto alle valutazioni di inizio anno, mentre i prezzi del petrolio, la commodity regina dei mercati erano diminuiti di oltre il 5%. A far scendere i prezzi delle materie prime, compreso l'oro, vi è il rallentamento di alcune delle principali economie dei paesi emergenti, a cominciare da India e Cina che hanno quasi dimezzato il proprio tasso di sviluppo economico rispetto agli anni precrisi, rimanendo su dei pur sempre rispettabili livelli di crescita del Pil del 4-6% annuo.

La Cina, in particolare è un grande trasformatore di metalli e materie prime industriali, mentre l'India è il primo mercato al mondo per il consumo di metallo giallo. E' evidente che l'indebolimento dei principali mercati di sbocco per queste materie prime determina un calo dei prezzi. L'oro, oltre che del calo della domanda di metallo fisico per gioielleria proveniente dall'India, risente poi (in negativo) del miglioramento della situazione finanziaria internazionale.

Il bene rifugio viene tendenzialmente abbandonato se il pericolo dal quale occorre trovare protezione si allontana. Ecco perché le stime delle principali banche d'affari internazionali attribuiscono al metallo giallo prezzi obiettivo intorno ai 1.050 dollari l'oncia per la fine del 2014 contro una quotazionc corrente che oscilla tra i 1.200 e i 1.250 dollari. ---- 10) La crisi dei rendimenti dei mercati emergenti è finalmente finita?
Non è un caso se le perdite sulle quotazioni delle commodities e dei metalli preziosi vanno di pari passo con la crisi dei mercati emergenti. Il 2013 è stato un altro brutto anno per le economie ad alta crescita, che continuano a svilupparsi a ritmi doppi o tripli rispetto a quelli dei paesi ad alta industrializzazione, ma che hanno notevolmente rallentato la propria velocità di sviluppo dal 6,3% del 2011 al 4,9% atteso per il 2014.

Inoltre la crescita dell'inflazione e i problemi del sistema bancario di alcune economie (a cominciare dalla Cina e dal Brasile) hanno indotto le autorità monetarie ad aumentare fortemente i tassi di interesse facendo precipitare le valutazioni dei titoli azionari e dei bond. Si spiega così il calo di circa il 5% registrato nel corso del 2013 dall'indice Msci World Emerging Markets e del 10% (compresa la svalutazione delle divise locali nazionali) per la classe delle obbligazioni emergenti, sia governative che societarie (i titoli societari hanno tenuto meglio).

Le previsioni, sugli emergenti, sono molto differenziate. C'è chi come il Credit Suisse suggerisce di rimanere neutrali sulle borse ad alta crescita e su tutte le principali classi di attivi collegate alle nuove economie (bond e e commodities) e chi ha una visione più intensamente negativa, come gli olandesi Ing Am e gli economisti di Goldman Sachs. Secondo questi ultimi solo le economie emergenti maggiormente legate al ciclo economico (positivo) dei paesi sviluppati potranno dare buoni risultati nel 2014. E tra queste gli economisti della banca americana citano i paesi dell'Est europeo (Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca) e alcuni paesi asiatici, come la Corea e Taiwan.

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