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SOMMARIO

5,5 italiani su 10 preparerebbero bagagli adesso e saluterebbero casa. Come loro questa scelta è condivisa dal 64% dei lavoratori in 189 nazioni nel mondo, mettendo Stati Uniti, Regno Unito e Canada tra le mete più apprezzate. Ecco cosa è emerso dalla ricerca firmata dal Boston Consulting Group e The Network, che dipinge una società pronta ad accettare le sfide della globalizzazione

Fuga dall’Italia: un giovane su due è disposto a lasciare il Bel Paese

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“Sarei pronto a preparare la valigia anche in questo momento, e a partire domani”.
A parlare è Alexis Sebaoun, ingegnere francese ventinovenne che alle spalle ha esperienze lavorative in Spagna, Argentina e Inghilterra. E che è stato intervistato in occasione della Global Talent Survey.
Come lui, oltre 200.000 individui sparsi in 189 paesi nel mondo hanno risposto alle domande del Boston Consulting Group e The Network, società di consulenza americane entrambe specializzate sulle strategie di business internazionale, che hanno sottoposto a ciascun intervistato un questionario di 33 domande, tra cui se e dove emigrerebbe per lavoro.

I risultati dichiarano che il 64% del campione intervistato prenderebbe in seria considerazione l’idea di un trasferimento all’estero, abbandonando, anche temporaneamente, la propria terra di origine.
E se la percentuale di questi lavoratori globalizzati è molto alta in paesi che vivono situazioni politiche o sociali particolarmente difficili (in Pakistan si dice pronto al trasferimento il 97% degli intervistati), rimane comunque notevole anche in quelle nazioni dove i cittadini possono dormire sogni (decisamente più) tranquilli: in Francia e nei Paesi Bassi, farebbero le valige 9,4 persone su 10.
A emigrare sono meno inclini tedeschi e inglesi (44%), mentre in Italia lo farebbero 5,5 intervistati su 10.

Questi dati (limitandoci a quelli italiani) diventano ancora più significativi se collegati ai risultati (appena pubblicati) della nona edizione del “Rapporto Italiani nel mondo” di Fondazione Migrantes. Il 2013 ha registrato un incremento delle partenze del 16% rispetto all’anno precedente, con 94.126 italiani che hanno abbandonato il paese ed effettuato l’iscrizione all’AIRE (l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero), il che fa pensare che il numero potrebbe anche essere superiore, se si considerano quegli individui che ancora non hanno avviato le pratiche d’iscrizione. Il 36,2% degli espatriati ha tra i 18 e 34 anni e il 26,8% ha tra i 35 e 49 anni, prova che disoccupazione e recessione economica siano le cause principali di questo esodo. Inoltre sono cresciuti del 71,5% gli italiani residenti nel Regno Unito, del 19% in Francia, del 15,7% in Svizzera e dell’11,5% in Germania.
Al 1° gennaio 2014 risultano iscritti all’AIRE quasi 4 milioni e mezzo di italiani.

Ma da chi è composto questo campione? Degli oltre 200.000 personaggi coinvolti dalla Global Talent Survey, il 93% vive nel proprio paese di origine, il 57% è uomo, il 36% possiede una laurea e il 23% ha seguito un Master o un corso di specializzazione dopo l’università. Inoltre il 55% è un dipendente assunto, il 27% è disoccupato, il 59% è alla ricerca di un nuovo lavoro; mentre la fascia di età in cui si concentra maggiormente il campione è quella dei 20/35enni.
Di ogni Paese coinvolto è stata presa una fascia eterogena di campione, contando, ad esempio, 12.050 partecipanti negli Stati Uniti, 16.220 in Germania, 6.363 in Gran Bretagna, 5.546 in Italia e 3.214 in Francia.

La Global Talent Survey si è poi concentrata su quale siano le professioni più inclini al trasferimento. Ebbene, le più predisposte ad abbandonare il proprio paese sono ingegneri e i settori tecnico-scientifici, con una media del 70% di risposte affermative. Dall’altro lato della situazione, le professioni meno convinte sono medici, infermieri, operatori sanitari e, più in generale, chi opera nel sociale. ---- E questo potrebbe essere un problema per quei paesi che si trovano a fare i conti con una carenza di personale nel settore della sanità. Per questo, paesi come la Germana, stanno procedendo con programmi per attrarre lavoratori stranieri (in questo caso specialmente vietnamiti) che vogliano imparare una nuova lingua e lavorare come infermieri nelle zone più rurali della Germania.

Ma quali sono le mete più ambite dai lavoratori di tutto il mondo?
Secondo la Global Talent Survey gli Stati Uniti occupano il gradino più alto del podio, indicati come prima scelta nel 42% dei casi, seguiti da Regno Unito (37%) e Canada (35%).
E tra le 20 economie più potenti del mondo, gli USA sono quasi sempre la prima meta segnalata, anche se il Regno Unito registra un forte consenso tra i cinesi che la incoronano destinazione numero uno. Buone performance anche dal Canada, che esercita un forte appeal in Francia, Messico, Brasile e Regno Unito. Tra i paesi non anglosassoni, si posizionano bene Germania (prima destinazione per la Russia e seconda per gli Stati Uniti); Svizzera e Francia (terza scelta per paesi come Canada, Brasile e Turchia).

Gli stati asiatici non generano un forte appeal come quello americano ed europeo, probabilmente per la difficoltà nell’apprendere la lingua: la Cina non è la prima scelta di nessuna delle 20 potenze mondiali, mentre il Giappone lo è solo per l’Indonesia.
L’Italia si posiziona invece come nona scelta, dopo Spagna, Australia e Francia, raccogliendo il 25% dei consensi; mentre gli italiani mettono al primo posto Regno Unito, seguito da Stati Uniti, Germania, Francia e Australia.

La ricerca indaga poi quale siano le motivazioni principali che portano a questo tipo di scelta: fare un’esperienza di vita e arricchirsi con una nuova esperienza professionale sono le prime cause (65%), seguite da migliori opportunità di carriera (59%), offerte di lavoro allettanti (58%) e aumenti significativi del salario (56%).
Un capitolo della ricerca è inoltre dedicato alla crescente importanza che il lavoratore dà a valori intrinsechi collegati alla professione. Vedersi riconosciuti i propri meriti, sapere che il proprio lavoro è apprezzato e avere buone relazioni con i propri superiori, diventano condizioni spesso maggiormente elogiate rispetto a una buona paga.

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