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Declino cognitivo. Come stimolare il cervello per invecchiar... OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

È una delle conseguenze dell’invecchiamento fisico. Il declino cognitivo, cioè la perdita delle capacità di ricordare, apprendere e concentrarsi, è un processo inevitabile. Ma qualcosa si può fare, quantomeno per rallentare questo processo. Fiorenzo Conti, ordinario di Fisiologia umana presso l’Università Politecnica delle Marche, spiega come prevenire questo indebolimento e arginarne fin da subito i danni

Declino cognitivo. Come stimolare il cervello per invecchiare meno rapidamente

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Ha scelto il “tema dei temi” per inaugurare la sua prima edizione, il Festival della Scienza Medica, evento che si è svolto nel calendario bolognese, dal 7 al 10 maggio, dedicandosi per 4 giorni alla questione de “La Lunga Vita”. L’appuntamento, organizzato da Fondazione Carisbo in collaborazione con Genus Bononiae-Musei nella Città e Intesa Sanpaolo, ha indagato aspetti e problematiche che ruotano attorno al tema della longevità, presentato come conquista e opportunità, ma anche come responsabilità sociale, attraverso il contributo di 100 relatori. Tra questi, Fiorenzo Conti, ordinario di Fisiologia umana presso l’Università Politecnica delle Marche e Direttore del Centro di Neurobiologia dell’invecchiamento dell’IRCCS INRCA di Ancona, ha affrontato il tema del declino cognitivo relazionato con l’avanzare dell’età. Of-Osservatorio finanziario lo ha intervistato per capire cosa implica e come fare per contrastarne, in parte, gli effetti.

Of: Qual è la definizione di declino cognitivo?
Conti: Senza entrare in dettagli troppo tecnici, per declino cognitivo si intende la riduzione delle funzioni superiori, in altri tempi si sarebbe detto delle capacità mentali che riguardano la conoscenza. È quindi la diminuzione della capacità di apprendere, di ricordare luoghi o eventi successi da poco, di prestare attenzione, di concentrarsi, di valutare criticamente, di prendere decisioni…

Of: Come diminuiscono negli anni le capacità cognitive?
Conti: Diminuiscono in maniera molto interessante. Per esempio, non tutte le funzioni declinano allo stesso modo in tutti gli individui, un’osservazione che lo stesso Cicerone aveva fatto nel suo De Senectute. E anche nello stesso individuo, non tutte le funzioni superiori diminuiscono insieme. E ci sono funzioni che non declinano. Questo potrebbe significare moltissimo. Per esempio, indagando le differenze di “stili di vita” (inclusi, anzi direi soprattutto quelli che attengono alle attività intellettuali), e fatta la tara per le ovvie differenze genetiche, si potrebbero evidenziare comportamenti che favoriscono una buona conservazione delle capacità cognitive. Sulla base di quello che sappiamo sinora (poco in realtà), si può per esempio dire che, a parità di altri condizioni (genetiche, ambientali etc..), “aver usato” il cervello sembra rappresentare un fattore che favorisce la preservazione di buone facoltà mentali nell’età avanzata (qui parliamo di persone con età superiore ad almeno 80 anni).

Of: E le cause, quali sono?
Conti: Le cause non sono note. Perché non sono note le cause dell’invecchiamento in generale (e quindi di quello cerebrale da cui dipende il declino cognitivo). Ma sappiamo che una caratteristica fondamentale del cervello anziano è la riduzione della plasticità cerebrale, ovvero di quella straordinaria capacità che ha il cervello di modificare la propria fisiologia e di adattarsi all’ambiente.

---- Of: Perché è importante conoscere come avviene il declino cognitivo?
Conti: Perché se non conosciamo bene da cosa dipende il declino cognitivo, qualunque tentativo d’intervento sarà destinato all’insuccesso o sarà comunque velleitario, se non pericoloso. Questo è il modo in cui funziona la “scienza medica”: conoscere i meccanismi normali per capire come questi possano alterarsi e funzionare male o meno bene è la condizione imprescindibile per un corretto approccio terapeutico.

Of: Come si interviene per ridurne i “danni”? Su cosa si è concentrata la ricerca?
Conti: Direi che la dimostrazione di una riduzione della plasticità dimostrata nel cervello anziano è sicuramente una delle strade più promettenti ma non necessariamente l’unica. Da una parte, perché conosciamo piuttosto bene i meccanismi cellulari e molecolari che ne sono alla base e quindi possiamo immaginare di essere presto nella condizione di poter modulare questi fenomeni. Dall’altra, e questa è sicuramente una notizia molto interessante per le casse del SSN, perché è dimostrato che si può riattivare la plasticità anche nell’anziano esponendolo semplicemente ad una vita più attiva, sia sul piano intellettuale sia su quello fisico, e meno sola.

Of: Esiste una differenza tra declino cognitivo fisiologico e declino cognitivo patologico?
Conti: Su questo punto, esistono differenze importanti di vedute tra gli scienziati. Molti sostengono che la demenza senile (nelle sue varie forme) non sia altro che una “radicalizzazione” del processo fisiologico di invecchiamento. Altri sostengono che il fattore comune alle due condizioni sia l’età e che i due processi non siano legati da alcun rapporto di causa-effetto. Personalmente, ritengo che i secondi stiano dando un’interpretazione più aderente ai dati della letteratura biomedica.

Of: Esistono degli “stratagemmi” per limitare i danni del declino cognitivo o ritardarne gli effetti?
Conti: Sì. Come dicevo prima, usare il cervello. Stimolarlo: quindi porsi problemi, non essere ripetitivi e abitudinari, conoscere, essere curiosi, sforzarsi di fare le cose che riescono più difficili. Sempre meglio se comincia da giovani, così si può tentare di mettere nella nostra banca cerebrale un gruzzolo di riserva. E, di nuovo come diceva Cicerone, controllare per quanto possibile le abitudini alimentari e camminare mezz’ora al giorno.

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