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Investimenti. 10 domande (e risposte) per guadagnare nel 201... OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

La bufera di inizio anno ha portato a rivedere, in negativo, le previsioni di fine 2015. E continua ad aleggiare lo spettro di nuove crisi sui mercati finanziari. Cosa sta realmente accadendo? Perché le Borse sono in panne? E poi: dove investire nel 2016? Si può ancora guadagnare qualcosa? E quali strumenti tengono al sicuro i capitali? Ecco le ultime 5 domande chiave per investitori e risparmiatori. E le risposte di Of-Osservatorio finanziario

Investimenti. 10 domande (e risposte) per guadagnare nel 2016 (seconda parte)

Costa sta accadendo ai mercati finanziari? E dove conviene investire, nel 2016, per non perdere tutti i risparmi? Of-Osservatorio finanziario dà le risposte a 10 domande fondamentali per investitori e risparmiatori, dopo che la tempesta perfetta ha sconvolto le borse di tutto il mondo a inizio anno. Ecco, di seguito, le ultime 5.

» Vai alle prime 5 domande



6) Come si potranno sconfiggere le “forze globali” di cui ha recentemente parlato Mario Draghi, responsabili della frenata dell’inflazione?

7) Ma cosa significa che un titolo paga un rendimento negativo? Quali possibilità di guadagnare ho con l'investimento in titoli di Stato e in obbligazioni societarie?

8) Le materie prime e l'oro possono rappresentare una forma di diversificazione del portafoglio?

9) Il mercato immobiliare è in risalita, converrà ancora puntare nel 2016 sull’investimento nel mattone per diversificare il portafoglio?

10) La liquidità può essere una buona soluzione per tamponare il rischio e attendere tempi migliori?


6) Come si potranno sconfiggere le “forze globali” di cui ha recentemente parlato Mario Draghi, responsabili della frenata dell’inflazione?

“Ci sono forze nell'economia globale oggi che, tutte assieme, concorrono per mantenere bassa l'inflazione”, ha detto Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea a inizio febbraio in una conferenza organizzata dalla Bundesbank a Francoforte, scatenando immediatamente allarmi e polemiche e suscitando la reazione preoccupata degli osservatori.

Le forze cui allude Mario Draghi sono davvero molto potenti, e vanno dal calo del prezzo del petrolio, al protrarsi della crisi per il gigante cinese, al debito pubblico dei paesi emergenti, al rallentamento della crescita globale. La Banca Centrale europea, così come tutte le autorità di politica monetaria e fiscale, temono il rallentamento dell’inflazione perché quando la corsa dei prezzi si avvicina allo zero – è la situazione attuale – diventa molto facile piombare nella deflazione, vale a dire nel calo protratto e generalizzato dei prezzi dei beni e dei servizi. Una situazione che può sembrare favorevole ai consumatori ma che in realtà è dannosissima per tutti, perché spinge a rimandare i consumi e gli investimenti e di conseguenza provoca recessione, disoccupazione e povertà. Ecco perché l’obbiettivo statutario della Bce è di avere una inflazione vicina ma inferiore al 2%. Il rischio attuale è alto perché negli ultimi mesi il tasso di aumento del costo della vita nell’eurozona ha oscillato tra lo 0,1 e lo 0,3% su base annua.

Le armi della Bce a questo punto sono abbastanza spuntate ed è per questa ragione che i mercati finanziari sono così preoccupati dall’evoluzione della congiuntura. Alcuni economisti si aspettano una ulteriore riduzione del tasso sui depositi delle banche presso la Bce. Oltre a possibile variazioni anche al piano di Quantitative Easing (un programma di acquisto di titoli obbligazionari sia pubblici che privati) promosso nel 2015 e prolungato fino al 2017. Stando alle attese, infatti, alcuni analisti prospettano un incremento dell’importo mensile di acquisto di bond che potrebbe salire dagli attuali 60 miliardi di euro fino a 80 miliardi. Molti economisti, tuttavia, sottolineano che le misure di politica monetaria, da sole, non bastano per rilanciare l’inflazione e lo sviluppo e che è cruciale il ruolo della spesa pubblica. Che tuttavia non può aumentare visto che gli Stati (e in particolare l’Italia) sono troppo indebitati. La battaglia per rilanciare un sano aumento – stabile e moderato – dei prezzi al consumo sarà lunga e piena di insidie.

---- 7) Ma cosa significa che un titolo paga un rendimento negativo? Quali possibilità di guadagnare ho con l'investimento in titoli di Stato e in obbligazioni societarie?

Dalla fine del 2015, anche in Italia, i titoli di Stato hanno iniziato a pagare rendimenti negativi. I Bot a un anno, attualmente hanno una cedola negativa di circa lo 0,1%. Una situazione paradossale. Significa, infatti, che alla scadenza del titolo l’acquirente si vedrà rimborsare un importo inferiore rispetto a quanto versato come prezzo iniziale, pagando una sorta di “premio” allo Stato o all’emittente del titolo. Questa situazione così anomala è provocata dalla caduta delle aspettative di inflazione e dal tentativo della Banca Centrale di rilanciare i prezzi e la congiuntura economica attraverso una diminuzione del costo del denaro. Per spingere le banche a prestare denaro alla clientela la Bce ha imposto ai depositi bancari presso la Bce stessa un tasso negativo dello 0,2-0,3%. Ma questa misura ha l’effetto di deprimere tutta la struttura dei tassi di interesse a breve termine a cui le banche e i privati si prestano il denaro. Il tasso Euribor, che i risparmiatori conoscono bene perché normalmente è la base su cui vengono calcolate le rate di un mutuo a tasso variabile sono scesi a -0,25% per la scadenza a un mese, a -0,2% per i 3 mesi, a -0,12% per i 6 mesi e a – 0,01% per il termine a un anno.

Sono i tassi di mercato monetario - così si chiamano i tassi a breve e brevissimo termine - quelli che danno il “la” alla struttura dei rendimenti di breve scadenza. Se questi tassi sono negativi, l’intera curva dei rendimenti, vale a dire tutti i tassi sulle scadenze a breve termine (abbiamo visto l’esempio dell’euribor) andrà sottozero. Ecco spiegata l’anomalia della situazione attuale.

In queste circostanze ricavare un rendimento “decente” dall’investimento in titoli a reddito fisso diventa molto difficile. Gli operatori consigliano di diversificare nello stesso paniere titoli con differenti durate e diversi gradi di affidabilità. Smorzando quindi il rischio delle emissioni con rating e affidabilità inferiori (e rendimenti un po’ più alti, fino all’1-1,5%) da un lato, e di quelle a lunga durata – ad esempio il Btp a 10 anni che offre circa l’1,5% - con emissioni a breve e medio termine (2-3 anni) che risentono meno nel corso del tempo di possibili oscillazioni di prezzo, ma il cui rendimento riesce a malapena a raggiungere il tasso di inflazione.

---- 8) Le materie prime e l'oro possono rappresentare una forma di diversificazione del portafoglio?

Era dal 2011 (quando aveva raggiunto il record di 1.920 dollari l’oncia) che l’oro non brillava così tanto. Dopo anni di crisi, infatti, a inizio febbraio il prezzo del lingotto ha superato la soglia psicologica dei 1.200 dollari l’oncia. Per un guadagno complessivo che dal 1° gennaio di quest’anno ha raggiunto circa il 15%. E mentre i mercati finanziari sono in preda alla volatilità, con perdite a doppia cifra, sembra tornata la voglia negli investitori di riscoprire il più classico dei beni rifugio.

I fondi specializzati in metalli preziosi, a inizio febbraio, hanno fatto registrare la miglior performance da 6 anni a questa parte, raccogliendo circa 1,6 miliardi di dollari. Secondo Bloomberg gli Etf sull’oro nel primo mese e mezzo dell’anno hanno attirato circa 8,2 tonnellate di metalli preziosi. Uno dei più famosi Etc sull’oro d’Europa, il più negoziato dall’inizio del 2016, Source Physical Gold P-ETC, ha annunciato di aver raccolto solo a gennaio capitali complessivi per un valore di 300 milioni di dollari. Mentre Bolaffi Metalli Preziosi, la società specializzata nella vendita di oro da investimento (sotto forma di lingotti e monete) a inizio febbraio ha fatturato in un solo giorno 425.000 euro, oltre il doppio del precedente picco registrato a settembre 2013.

Eppure, dicono gli analisti, la tendenza al rialzo delle quotazioni dell’oro non sembra destinata a durare. Tra i più scettici, Goldman Sachs scommette su un probabile stop del rally al rialzo. Secondo?gli operatori, infatti, entro la fine dell’anno il lingotto non arriverà a superare un prezzo di 1.000 dollari l’oncia, risentendo inevitabilmente del rialzo dei tassi già preannunciato dalla Fed dopo il primo intervento di dicembre.

Molto, quindi, dipenderà dalla politica monetaria della Federal Reserve, essendo il metallo giallo inversamente correlato all’andamento dei tassi di interesse americani. Vale a dire: più i tassi sono bassi e più è probabile che l’oro si rafforzi. Le previsioni per il 2016, dopo il primo intervento della Fed, erano di 4 ritocchi al rialzo, ma adesso le stime sono state ridimensionate ipotizzando un massimo di due interventi per i mesi a venire. Ma questi aumenti, modesti, del costo del denaro negli Stati Uniti, potrebbero avere l’effetto di deprimere le quotazioni del metallo, che non paga nessuna cedola ed è per definizione infruttifero.

E’ necessaria dunque cautela. Sebbene sia l’asset che ha guadagnato di più da inizio anno, il lingotto non è nuovo a oscillazioni di prezzo anche significative. In 4 anni, per esempio, ha dimezzato quasi interamente il suo valore: dai 1.920 dollari l’oncia di fine 2011 al picco negativo (il peggiore nell’arco di 6 anni) di 1.045,85 dollari di dicembre 2015.

---- 9) Il mercato immobiliare è in risalita, converrà ancora puntare nel 2016 sull’investimento nel mattone per diversificare il portafoglio?

E’ stato messo a dura prova dalla crisi economica. Ma dopo 7 anni di variazioni negative, per la prima volta, il 2016 si apre con dati a segno più sul numero delle compravendite portate a termine. Il mercato immobiliare ha finalmente voltato la china. Ne sono convinti osservatori, economisti, addetti ai lavori che hanno iniziato a inanellare previsioni migliori per i mesi a venire. Ma anche se la ripresa, effettivamente, sembra essere concreta, è ancora presto per cantare vittoria. Secondo Moody’s, l’agenzia di rating americana, infatti, la parola d’ordine che rappresenterà il 2016 è: stabilizzazione, dopo una fase recessiva durata così a lungo. Gli ultimi dati ufficiali diffusi a inizio dicembre dall’Agenzia delle Entrate e relativi al terzo trimestre del 2015 parlano di un incremento che, considerando l’aggregato, si attesta sul +8,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (includendo nell’analisi oltre al residenziale anche il comparto dell’immobiliare commerciale e produttivo).

Ma è nei prossimi mesi che la situazione migliorerà in maniera più evidente. Secondo Nomisma, la società indipendente di studi e ricerche, a fine anno si dovrebbero raggiungere le 500.000 compravendite, analizzando la sola componente residenziale.

In una situazione come questa, dunque, ha ancora senso investire nel mattone? Un tempo bene di investimento (e rifugio) per eccellenza, componente imprescindibile di qualsiasi portafoglio diversificato, in questi anni di crisi l’immobiliare ha scontato notevolmente l’incremento della pressione fiscale, soprattutto sulla seconda casa. La riduzione dei prezzi al metro quadro degli immobili è stata molto importante, con cali in media del 20-25% rispetto al periodo pre-crisi.

A inizio 2016, tuttavia, la situazione si è parzialmente modificata. La Legge di Stabilità approvata a inizio anno, infatti, ha contribuito a ridurre la tassazione sulla seconda casa, se fatta abitare in comodato d’uso gratuito a un congiunto. Provvedendo anche a ridurre l’Imu del 25% a chi affitta un appartamento a canone concordato. Tuttavia i prezzi delle abitazioni, ancora in calo o sostanzialmente stabili in buona parte d’Italia, non sono previsti in rialzo nemmeno nei prossimi mesi.

Ecco allora che, nelle principali città italiane si può sperare in rendimenti medi lordi, derivanti dalla locazione che si aggirano intorno al 4,5%. Con punte più alte nelle città universitarie dove la costante richiesta di immobili in affitto permette ritorni più interessanti rispetto a quelli che si potrebbero ottenere nelle città d’arte o nelle località turistiche. Ma bisogna fare i conti, comunque, con la decurtazione fiscale che, in media, richiede un costo del 30% circa se si opta per la cedolare secca. Ma può salire in caso contrario fino al 50%.

Indipendentemente dai rendimenti, tuttavia, chi desidera investire nel mattone deve tenere presente anche altri problemi. La crisi ha insegnato infatti che l’investimento immobiliare, in questo particolare periodo storico, rischia di diventare illiquido: l’allungarsi dei tempi di vendita, e la contrazione delle quotazioni immobiliari, possono costringere molti proprietari a dover scontare significativamente il valore dell’abitazione. A ciò si aggiungono le difficoltà di trovare inquilini affidabili e i lunghi tempi di recupero crediti in caso di morosità.

---- 10) La liquidità può essere una buona soluzione per tamponare il rischio e attendere tempi migliori?

Con i tempi che corrono, la volatilità dei mercati e le oscillazioni pesanti degli indici azionari, tenere i soldi liquidi sotto il materasso (o nel suo equivalente finanziario) può rappresentare una buona soluzione. Nonostante i bassi rendimenti. Significa, in altre parole, stare liquidi e aspettare che il peggio passi, salvaguardando il capitale in attesa che arrivino momenti migliori per rientrare sul mercato e tornare a investire.

Le alternative possono essere molte. Si può optare per i conti correnti, i conti di deposito, i Bot o più in generale per tutti quei prodotti che rientrano nella categoria di “liquidità remunerata”. Anche se, anche i conti correnti stanno attraendo un sempre maggior numero di capitali. Si stima, infatti, che circa il 30% del patrimonio delle famiglie italiane sia attualmente libero sui conti e depositi, per un totale di circa 1.500 miliardi di euro.

E anche se ottenere un rendimento è difficile, in questo clima di turbolenze dei mercati finanziari e con i tassi di riferimento della Bce al loro minimo storico, si può comunque sperare di guadagnare qualcosa, soprattutto sul breve e medio periodo. Scegliendo infatti i conti di deposito che, in media, sui 12 mesi, rendono l’1,16% lordo (fonte: DB dei Prodotti Bancari di Of-Osservatorio finanziario) , pari cioè allo 0,85% al netto della ritenuta fiscale, si può riuscire a battere l’inflazione, ferma allo 0,3% e prevista più o meno stabile a questi livelli per tutto il 2016.

Il consiglio, tuttavia, è quello di scegliere prodotti di breve e media durata. Se infatti l’inflazione dovesse ripartire dal prossimo anno, come auspica la Banca Centrale Europea che sta lavorando proprio in questa direzione per raggiungere la soglia di un tasso vicino al 2%, un vincolo a 2 o cinque anni, o anche di più, sottoscritto oggi con un rendimento lordo dell’1% virgola qualcosa rischierebbe tra un anno di non essere più appetibile.

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