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Scenario: come cambia la caccia al rendimento dopo il credit... OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

Sotto la grande cappa del credit crunch, l’asfissia del credito, come cambia la caccia al rendimento di chi ha piccoli o grandi patrimoni da investire? Come cambia il modo di pensare e di agire dei piccoli risparmiatori? La famiglia continuerà a lasciare liquidità sul conto di deposito al più arrischiando sui Pronti contro termine oppure su assicurazioni a premio garantito?

Scenario: come cambia la caccia al rendimento dopo il credit crunch

La recente corsa alle obbligazioni, per cui si è tornati a paventare un altro sboom, dopo la bolla di internet e quella immobiliare, ha di fatto riaperto una corsa al rendimento causata dai tassi troppo bassi, prossimi allo zero di Bot e depositi. Il risparmio, come ricordano gli analisti, è pur sempre merce deperibile se lasciata a dormire sul conto corrente. Ma in tutti c'è una voglia di sicurezza, che, nel caso degli invesimenti mobiliari, è un ossimoro: chi investe e spera di guadagnare deve rischiare. E' il gioco della finanza.
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Trasparenza parola chiave
Professionisti della finanza internazionale intervistati da Business Week, hanno sintetizzato in una parola la novità post-crisi: trasparenza. E non sono i soli. Recentemente The Financial Times ha dedicato un ampio speciale al futuro dell'investimento e anche qui la parola chiave di economisti come l'ormai notissimo Nouriel Roubini o Leigh Skene, economista dell'istituto di ricerca Lombard Street Associate, è sempre la stessa: trasparenza. La ripetono banchieri come Mario Draghi, Governatore di Banca d'Italia e presidente del Financial Stability Board (Fsb), che la usa come un mantra in ogni suo discorso. La richiedono i governi, ma soprattutto la invocano a gran voce coloro che vogliono tornare a investire e a guadagnare. Ecco perché c’è chi auspica che le banche d'investimento assomiglino d'ora in avanti sempre di più a istituzioni governative d'investimento che devono rendere conto ai cittadini di quello che fanno. D'altra parte lo Stato ormai è entrato nel sistema finanziario a iniziare da quello degli Stati Uniti d'America. Ultimo caso quello di Cit, la società finanziaria Usa specializzata nel credito alle piccole medie imprese, che ha chiesto la protezione fallimentare attraverso il ricorso al famoso Chapter 11 per evitare il ripetersi del caso Lehman di un anno fa. La procedura serve infatti ad evitare che il flusso di credito finisca.

La trasparenza richiede prima di tutto regole capaci di imbrigliare la finanza e farle scoprire i suoi trucchi: questo comporta subito due problemi. Il primo riguarda i tempi: le regole richiedono molto tempo che manca alla finanza, la quale è per sua natura frenetica, oggi più che mai a causa della sua informatizzazione e globalizzazione. Secondo: più regolamenti comportano un aumento dei costi. Tutto questo mentre le persone che investono sono spinte, anche grazie a Internet, a pretendere sempre di più a costi sempre più contenuti e prossimi allo zero. La ricerca di nuove regole, inoltre, alimenta un vasto mercato di lobbying che si danno battaglia sul piano internazionale. Un esempio è l'attuale battaglia che stanno giocando le agenzie di ratings, quelle verso le quali la comunità internazionale punta il dito come una delle principali cause della crisi avendo letteralmente "toppato" la valutazione di titoli come appunto quello della Lehman. Ebbene, oggi sono oltre 100 le società di ratings che offrono servizi sul mercato, ma solo cinque sono ad oggi garantite dal NRSRO che sta per Nationlly Recognized Statistical Rating Organizations. Di fatto nulla sembra essere cambiato rispetto a queste agenzie a dispetto dei loro macroscopici errori. Ciò che sembra essere cambiato semai è l'atteggiamento dell'investitore che guarda poco ai ratings e molto di più ad altre cose. Ma a cosa?

Prima di tutto al rendimento, che sembra essere tornato, vista la corsa alle obbligazioni e agli Etf, ma anche ai fondi azionari. D'altra parte, le banche hanno ricominciato a macinare utili e a distribuire bonus grazie soprattutto agli aiuti pubblici. Nel secondo trimestre del 2009, il 59 per cento dei ricavi delle prime 12 banche europee e statunitensi sono arrivati da attività di trading, da dividendi e da commissioni. E se è vero che a guadagnarci sono soprattutto i manager e gli azionisti, è anche palese che di guadagni potrebbero essercene per tutti. Non è un caso che ci sono azioni di banche popolari italiane che danno un rendimento superiore al 9%. E che si sono fatti affari anche acquistando azioni di gruppi under performance quando erano a un livello molto prossimo allo zero rivendendole quando hanno recuperato, anche grazie all’effetto annuncio degli ormai famosi TBond. ---- Il crollo dei vecchi muri della finanza
In attesa di nuove regole, numerosi muri e norme che circondavano il vecchio sistema finanziario crolleranno o sono già crollate. La prima è la differenza tra mercato finanziario straniero o domestico: in pratica chi crede di diversificare i propri investimenti scegliendo mercati diversi è tratto in inganno. Perché proprio i mercati nazionali sono influenzati da variabili, che non dipendono affatto dalle istituzioni governative e bancarie nazionali che viceversa stanno perdendo sempre più potere. Non solo: chi investe in una società francese, ad esempio, non può sapere che questa al contrario è legata al mercato egiziano dove vende la maggioranza dei suoi prodotti. C'è chi punta il dito sulle borse nazionali che non hanno più alcun motivo di esistere in un mercato internazionale e si augurano che presto sia costituita una borsa mondiale, una worldwide stock exchange. Un altro muro che dovrà crollare è quello delle leggi che regolano il mercato finanziario, normative diverse soprattutto in mercati emergenti non tutelano nessuno e finiscono con bloccare la fiducia e quindi il credito. Laddove c'è una carsa regolamentazione e un alto livello di corruzione è difficile che gli istituti finanziari diano credito e promuovano quindi investimenti. La trasparenza è quindi la nuova norma dei mercati finanziari. Ma cosa significa veramente? Significa spiegare, spiegare e ancora spiegare: il problema è che ci sono ormai prodotti così complicati che è impossibile chiarirli a un pubblico di non esperti o di non professionisti. Ma non c'è altra strada: i prodotti dovranno quindi diventare meno arcani e più comprensibili e chi li vende deve sapere esattamente quel che fa. Ad esempio prodotti come i CDO, cioè obbligazioni che hanno come garanzia un debito che a loro volta sono formate da ABS, cioè da obbligazioni a loro volte garantite da centinaia di migliaia di altri debiti, dovrebbero essere valutabili in modo certo da chi li propone, dalle banche prima di tutto. Il che sembra impossibile, oggi. C'è chi si arrischia ad affermare che la strada verso la semplicità nella finanza porta solo alla liquidità, cioè al mancato investimento.

---- Una torta a fettine sempre più piccole
Quel che sta cambiando è prima di tutto la costituzione dei portafogli. Chi fa da sè vuole anche provare e soprattutto vuole diversificare per correre meno rischi possibile: e allora la torta investita ha fette sempre più piccole. Per fare questo e soprattutto per gestire da sè in modo facile e trasparente c'è oggi una vasta offerta di software di supporto all'investitore: piattafome ricche di charts, animazioni che indicano all'investitore i rischi ai quali si sta esponendo, i cambiamenti che stanno avvenendo, in tempo reale, o quasi (Leggi qui). Chiunque può cliccare su un'icona e visualizzare il suo futuro finanziario in termine di tutti gli scenari possibili. Basta usare la propia immaginazione. E le proprie conoscenze e informazioni.

C'è però chi sostiene che non è possibile che semplici regole cambino in pochi mesi il modo di fare di un'intera generazione di professionisti della finanza che hanno imparato come si fa ad arricchirsi in fretta e senza regole e vincoli. Norme e regole di fatto non bastano a bloccare questa folta schiera di persone senza scrupoli che non sono finite in carcere o giù da una finestra come accadde nella crisi devastante del 1929. Sono ancora tutti lì ai loro posti, pronti a rifare le stesse cose. Con i soldi dei contribuenti. Bisogna quindi stare molto attenti. E bisogna anche prestare attenzione al fatto che anche i modelli matematici più sofisticati gestiti dal software più avanzato non sono assolutamente in grado di prevedere il futuro soprattutto quando si tratta di investire in attività di nazioni di cui si conosce a mala pena il nome. In pratica il rischio è sempre più elevato di quanto viene descritto dalle charts delle piattaforme pur super efficienti. Un rischio che solo le grandi società internazionali quali JP Morgan, Goldman Sachs e le grandi banche come Credit Suisse, Barclays Capital e Deutsche Bank tanto per citare le maggiori, sanno gestire a loro vantaggio: non a caso nei primi 9 mesi di quest'anno proprio queste società hanno saputo conseguire elevati livelli di attività nel trading di bond governativi, derivati basati sui tassi d'interesse e sui fondi "Equity-DIversified" i cosiddetti "vanilla" equity. ---- Il cliente retail preferisce i bond e gli ETF
Ci sono oggi, quindi, due grandi filoni d'investimento che sembrano sicuri e tranquilli, regolati, trasparenti che vanno però tenuti sotto controllo: il primo è quello dei bond, la cui febbre ha colpito gli investitori europei da un anno e il secondo è quello degli ETF (Exchange traded funds). L'investitore retail è attirato dai primi, perché offrono, almeno apparentemente salvo default dell'emittente, impresa o banca che sia, una garanzia sull'investimento e un margine di guadagano sicuro, anche se basso, ma comunque superiore a quello offerto dai Bot e CCT oggi vicini allo zero. E fanno un passo anche verso i secondi, perché sono più trasparenti e meno costosi. In più i bond sono una forma d'investimento che non è praticamente cambiata nel corso dei secoli. Il loro valore è apprezzabile soprattutto in periodi come questo caratterizzato da una inflazione molto bassa e negativa. Secondo gli economisti, è proprio il segmento bond, obbligazionario, a fare la parte del leone nei prossimi anni e acostituire quindi l'asset più forte nelle torte d'investimento delle famiglie. Oggi un numero crescente di investitori sta diversificando i portafogli acquistando ETF, fondi costituiti in larga parte da stock di azioni garantite dall'indice Standard & Poor's. Se nel 2000 gli ETF sul mercato erano poco più di 80 con un asset di appena 45 miliardi di dollari USA, oggi il loro numero è salito già a oltre 700 con più di 600 miliardi di dollari USA di asset. In Europa ci sono circa 750 Exchange traded fund, di cui oltre 300 quotati su Borsa italiana, un numero superiore rispetto agli Stati Uniti, che riflette la maggior frammentazione del mercato del Vecchio continente (gli asset under management dei singoli fondi, infatti, sono minori). Il succeso degli ETF, che sono meno costosi per i clienti, i fondi che danno maggiori rendimenti e fee più elevati agli intermediari, ha praticamente affondato gli Hedge Fund. Da quando i non professionisti della finanza, il medico, il docente universitario, l'avvocato, il padre di famiglia e il pensionato sono diventati capaci di gestire le loro finanze da sè il business dei mutual funds, con fee più elevati, è crollato inesorabilmente. ---- I rischi ci sono sempre
Secondo Sara Silano di Morningstars la barriera tra gestori ed Etf si sta frantumando dato che sempre più fondi comuni tradizionali, fondi di fondi, gestioni patrimoniali e altri strumenti del risparmio gestito mettono nei loro portafogli gli Exchange traded fund. Anche il mondo della previdenza integrativa, inizialmente molto scettico, li guarda con maggior interesse, anche se non tutti gli Etf riscontrano lo stesso interesse. Gli investitori istituzionali sono orientati verso gli strumenti cosiddetti cash-based, ossia quelli che replicano l’indice di riferimento con i titoli che lo compongono anziché utilizzando swap (contratti con i quali due parti concordano di scambiarsi futuri pagamenti). Questi ultimi, spesso, sono più efficienti, ma anche più complessi e comportano un rischio di controparte.

Bond ed ETF non sono ovviamente esenti dai rischi. Per i primi, i rischi variano in base alla tipologia del debito e soprattutto all'emittente. Il rischio in questo caso è gestibile se si costruisce un portafoglio effettivamente diversificato. Anche perché il prezzo dei bond è inversamente proporzionale al livello dei tassi d'interesse: quando i tassi sono alti il loro prezzo decresce e al contrario sale quando, come accade oggi, i tassi sono molto bassi. Più lunga è la "maturità" di un bond e maggiore è il rischio interessi che deriva dalla possibilità di un loro incremento nel tempi. L'altro rischio riguarda il cosiddetto default dell'emittente, cioè della capacità di ripagare il prestito da parte delle imprese o delle banche che lo hanno emesso. Di solito bond governativi come sono i buoni del Tesoro sono privi di rischi, ma offrono anche minori rendimenti. I rischi associati ai corporate bond, invece, dipendono da molteplici fattori come i bilanci, i fatturati e le capacità di guadagno delle aziende. Qui vengono in aiuto, ma si è visto con quali altri rischi, le società di rating che associano ai bond dei rank.

Per gli ETF si parla prima di tutto di "label risk", cioè del rischio che nel fondo non ci siano effettivamente la tipologia di azioni che promettono. Ci sono fondi come ad esempio iShares MSCI Pacific Ex-Japan (EPP) che all'apparenza sembrano accedere al grande mercato emergente asiatico, ma al contrario se si va a scandagliare ciò che contengono si vede un elenco di fondi investiti per lo più in Australia e Nuova Zelanda con appena una piccola parte di esposizione a Hong Kong e Singapore. E poi c'è il rischio indici, non tutti i fondi tracciano allo stesso modo e quindi bisogna fare attenzione che quelli scelti lo facciano in modo corretto e trasparente. Cosa significa? Anche qui un esempio per tutti: nel 2007 durante il boom dei mercato emergenti c'erano due ETFs che tracciavano l'indice MSCI mercati emergenti. Uno era iShares (EEM) e l'altro Vanguard (VWO). I due fondi tracciavano però in modo completamente diverso: Vanguard usava il sistema chiamato "full replication", cioé il fondo acquista ciascuno stock nell' indice esattamente nel suo giusto peso. iShares usava un approccio diverso chiamato "optimization". Essenzialmente, iShares utilizza algoritmi complessi per selezionare un sottoinsieme di diversi numerosi indici che pensa tracceranno l'indice nel suo complesso. In questo modo nel 2007, gli ETF iShares detenevano appena 250 dei 750 stock dei vari indici. Terzo rischio da considerare è quello che gli esperti chiamano "Spreads Risk" che è poi lo stesso rischio delle azioni. La maggior parte degli ETFs hanno spread inferiori a 10 punti base, ma 14 ETF possiedono spread maggiori di 50 punti base. E' un margine ampio da pagare soprattutto se si fanno vendite per liquidità su tempi molto brevi. C'è poi il rischio tasse, che non è da poco visto che gli ETF sono diventati un mercato molto ampio e che quindi può fa gola ai Governi tanto che se n'è discusso anche all'ultimo G20. Infine c'è anche un altro rischio, quello della controparte. Per la maggior parte, quando si acquista un ETF, è lo stesso che acquistare un tradizionale mutual fund. Si possiede una diretta partecipazione di azioni o obbligazioni che costituiscono il fondo. Con i relativi rischi.
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