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50 anni/E reinventarsi la vita OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

Li chiamavano Baby Boomers. Oggi li identificano come Young Old. Sono ambiziosi, individualisti, infaticabili stacanovisti, ma anche idealisti, volenterosi, ottimisti e fiduciosi verso il futuro. Dedicano poco tempo ai nipoti, non pensano alla panchina della pensione, ma cercano sempre un modo per reinventarsi e cogliere nuove opportunità. Oggi sono anche esodati, disoccupati con famiglie da mantenere, troppo giovani per il trattamento pensionistico, ma comunque emarginati dal mercato del lavoro. Ecco chi sono, e come affrontano le ripercussioni di una recessione che li sta penalizzando gravemente. Anche se c’è chi afferma, come la BBC: hanno più probabilità dei loro nipoti di trovare lavoro

50 anni/E reinventarsi la vita

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Gli occupati italiani, secondo rilevazioni Istat, sono 22 milioni e 498.000, con un tasso di occupazione, fermo ormai da 5 mesi, pari al 55,8% (dati: agosto 2013), il livello più basso degli ultimi 36 anni, mentre il tasso di disoccupazione si stanzia al 12,2% (nel 2008, quando è iniziata la crisi era al 6,4%; 6,2% nel 2007).

Affianco a un’intera generazione, quella giovanile, messa in ginocchio dalla crisi, c’è un’altra fascia d’età che sta subendo gravi danni a causa della recessione economica.
Sono persone con famiglia, figli da mantenere, studi e tasse da pagare, mutui in fase di conclusione: è la fetta di popolazione che va dai 50 ai 60 anni circa, con una precarietà economica e lavorativa che si è rivelata pesante tanto quanto quella dei più giovani.

Sono i cosiddetti Baby Boomers, i nati tra il 1945 e il 1964 circa, e rappresentano, in Italia, il 28,5% della popolazione. È la generazione che ha vissuto il boom economico del dopoguerra, protagonisti di una rivoluzione radicale a livello mondiale, che ha investito tutti i settori della vita umana: cultura, stili di vita, usi e costumi, codice morale, norme sociali, consumi. Una trasformazione totale. Basti pensare al diffondersi in quegli anni dei nuovi comportamenti di consumo, definiti di massa, che hanno riguardato soprattutto la televisione, la musica, il cinema, i libri, l’abbigliamento. E ancora: il femminismo, la rivoluzione sessuale, l’impegno politico, la lotta al razzismo, il pacifismo.

È una generazione di idealisti, ma al tempo stesso individualisti ambiziosi, sensibili alla qualità della vita, assegnando al lavoro e al guadagno un ruolo fondamentale; sono perennemente fiduciosi verso un futuro che sicuramente sarà migliore del presente e ottimisti verso una costante crescita economica e tecnologica.
Nel presente, rispetto ai senior attuali, mostrano un livello di istruzione più elevato, maggiori capacità economiche e maggiore esperienza di digitalizzazione (consumano tecnologia, la comprano, la utilizzano, la apprezzano), diventando probabilmente in futuro la prima generazione over 70 esperta in materia.

Oggi vivono un profondo shock personale, fatto di amarezza, delusione e incredulità, nei confronti di una crisi che, per i loro ideali e il loro temperamento, non era stata lontanamente immaginata.
Ma nonostante il periodo ostico e di restrizioni, non smettono di voler cogliere nuove opportunità, da sfruttare con il proprio bagaglio di conoscenze e competenze, buttarsi in nuove esperienze, essere in contatto con il mondo, restando comunque protagonisti della società.

Per gli Anglosassoni sono anche definiti Young Old, individui che, invece che iniziare a pensare alla pensione come avrebbero fatto i loro genitori, considerano nuovi progetti, si lanciano in nuove attività, cambiano vita. Sono i cinquant’anni, non considerati “i nuovi quaranta” e nemmeno terza età: sono più sensibili e inclini al cambiamento, per diversi motivi, tra cui quello della longevità. Con un’aspettativa di vita così alta è impossibile immaginarsi per altri 30 anni in pensione, isolati e inattivi.
Contemporaneamente la crisi economica ha portato le sue inevitabili conseguenze: valutare che dall’oggi al domani ci si può trovare senza impiego, porta a progettare alternative e piani B. ---- Ma quando si diventa anziani? Fortunatamente, non c’è una risposta precisa. Biologia e medicina convengono sul ritenere “anziano” chi ha raggiunto un determinato livello cronologico di età, solitamente intorno ai 60 anni. Definizione che mostra dei limiti: vecchiaia fisica e psicologica non sempre coincidono, e la stessa età anagrafica spesso non corrisponde all’età biologica, mostrando come si può essere in buona salute a 70 anni, o soffrire di patologie a 40.

Una ricerca del 2012 condotta da Eurobarometer, che svolge indagini sulle opinioni pubbliche riguardanti vari temi per conto della Commissione Europea, mostra che gli europei, in media, fissano l’inizio della vecchiaia a 64 anni, mentre a 42 anni si è ancora ritenuti giovani.
Definizione quindi, quella della vecchiaia, che varia di pari passo alla cultura, all’evolversi del tempo, al mutamento degli stili di vita e della società.

Come emerge da una ricerca svolta dal Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, intitolata “Gli anziani, una risorsa per il Paese” e pubblicata il 19 ottobre 2013, la fascia degli over 65, identificata come quella dei “nonni”, mostra attualmente stili di vita e caratteristiche simili, per certi versi, alla più giovane generazione dei cinquanta-sessantenni. La fetta di popolazione con più di 65 anni di età, è descritta, come si legge dal dossier, in termini di “longevità attiva”: il miglioramento delle condizioni di salute e lo slittamento in avanti delle aspettative di vita, hanno causato non solo una significativa crescita demografica, ma hanno anche portato all’affermarsi del loro ruolo sociale, economico e culturale, entrando in contrasto con l’idea stereotipata di un’età avanzata che coincide con il declino psico-fisico e con l’inevitabile esclusione e marginalità dalla società, e rendendo inoltre sempre più difficile una definizione chiara e precisa di terza e quarta età.

La ricerca indaga inoltre il ruolo che i soggetti dello studio rivestono nel lavoro, sottolineando la propensione abbastanza diffusa a lavorare anche oltre l’età del pensionamento. Dal 2007 al 2012 i lavoratori con più di 55 anni sono aumentati del 24,5%, risultato motivato però anche dalle recenti riforme pensionistiche, mentre si legge come il 68,8% dei titolari di grandi aziende li preferisca, rispetto ai colleghi più giovani, per competenze gestionali e organizzative.

Non è un caso quindi che sia calato significativamente il numero di anziani che si prendono cura in prima persona dei propri nipoti, passando dal 35,8% del 2007, all’attuale 22,5%, mentre invece è aumentato dal 31,9% del 2009, al 47,9% la quota degli over 60 che contribuiscono con un aiuto economico diretto, alla vita dei propri figli e/o nipoti. Di pari passo si è incrementata, dal 19,2% del 1991 al 32,7% la quota di ricchezza detenuta dalle famiglie più anziane, con capofamiglia ultrasessantacinquenne, mentre cala, dal 17,1% al 5%, quella posseduta da famiglie con capofamiglia trentacinquenne.

Un tema, quello dell’occupazione degli over 50, che sta suscitando parecchio interesse, da ultimo quello della BBC, con un articolo intitolato “Why your grandfather might land a job before you” (“Perché tuo nonno potrebbe trovare lavoro prima di te”), sottolineando come spesso le imprese preferiscano dipendenti ultra-cinquantenni ai più giovani, per competenze, valori e principi in sintonia con lo spirito dell’azienda, oltre a conoscenze e capacità che possono essere insegnate ai componenti dello staff più giovane, riconoscendogli quindi un ruolo da mentore e guida. ---- In Italia ad avere tra i 50 e i 65 anni, sono in 12 milioni e 337.948, di cui più di 8 milioni e mezzo appartengono alla fascia tra i 50 e i 60 anni, mentre tra i 45 e i 65 anni sono 17 milioni e 100.578 individui.

I disoccupati aventi tra i 45 e i 54 anni (su un totale di 8 milioni e 924.249 circa), secondo dati Istat del secondo trimestre 2013, sono 591.000, (50.000 individui in più rispetto all’ultima rilevazione, quella del quarto trimestre 2012), di cui 223.000 nel Nord (142.000 nord ovest e 81.000 nord est), 112.000 nel Centro e 257.000 nel Sud; contro i 179.000, mille in più rispetto al quarto trimestre 2012, senza lavoro tra i 55 e i 64 anni (su 7 milioni e 423.621), suddivisi tra 70.000 a Nord (43.000 nord ovest, 27.000 nord est), 32.000 al Centro, 77.000 nel Sud.
Gli uomini sembrano soffrire più delle donne: 324.000 uomini senza occupazione tra i 45 e i 54 anni, contro 268.000 donne; 121.000 la fetta maschile senza lavoro tra i 55 e i 64 anni, mentre la popolazione femminile ammonta a 58.000.

Per quanto riguarda l’occupazione, sono in 6 milioni e 597.000 ad avere un lavoro tra i 45 e i 54 anni (21.000 in meno rispetto agli ultimi dati del 2012), 3 milioni e 474.000 nel Nord (2 milioni e 7.000 nel nord ovest, 1 milione e 467.000 nord est), 1 milione e 405.000 nel Centro e 1 milione e 718.000 nel Sud.
Di questi 6 milioni e oltre di lavoratori, 5 milioni e 28.000 sono dipendenti, 4 milioni e 606.000 hanno un contratto indeterminato, e circa 1 milione e 12.000 è laureato.

Invece, gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono 3 milioni e 164.000 (76.000 in più rispetto al quarto trimestre del 2012), così ripartiti: 1 milione e 536.000 nel Nord (893.000 nord ovest, 643.000 nord est), 690.000 al Centro e 938.000 nel Sud.
Del totale, sono in 2 milioni e 239.000 ad essere lavoratori dipendenti, 2 milioni e 122.000 hanno un contratto indeterminato, e 599.000 sono in possesso di un titolo di laurea.

Per la gravità della situazione in cui versa l’Italia, nessuno, ormai, sembra essere al sicuro, perfino quelle professioni che ricoprono ruoli alti e prestigiosi: dal 2009 al 2012, il numero degli occupati con profilo dirigenziale è calato del 20,8%, da 500.000 a 396.000.
Ben 43.000 manager dipendenti nelle imprese private, hanno perso il lavoro tra il 2008 e il 2011 (70.000 se si contano anche i quadri): il 90% ha più di 45 anni e meno di 55.
Troppo giovani per la pensione, operativamente ancora attivi e brillanti, dotati di una saggezza e di un’esperienza importantissime, ma troppo “vecchi” per aspirare a una nuova posizione, a causa di un mercato lavorativo che spesso predilige candidati trentenni, con un costo anche 4 volte inferiore rispetto a quello dei colleghi cinquantenni.

Of dedica un’analisi al fenomeno, cercando di approfondirlo il più attentamente possibile nei suoi vari aspetti: economico-finanziario, indicando quali sono i finanziamenti, i prestiti e le soluzioni bancarie in genere più adatte a questa fascia di età, che rappresenta una fetta cospicua della clientela degli Istituti bancari (ad esempio i clienti di Intesa Sanpaolo sono per il 30% over 65); psicologico, ricercando, con l’aiuto di , dirigente psichiatra all'A.O. Fatebenefratelli di Milano, come e perché si verifica una depressione post-crisi lavorativa e quali sono i metodi per arginarla; assicurativo, indicando secondo due situazioni tipo, quali possono essere i prodotti più idonei di due differenti società; e ancora, Of sottolinea il diffondersi di una soluzione adottata da chi si ritrova ai margini del mercato lavorativo: aprire una propria attività di consulenza, diventare liberi professionisti, realizzando e arredando un ufficio in casa, fenomeno in lieve crescita a Milano, come ci rivela Antonio Sabatini, affiliato di Tecnocasa.

I temi affrontati e le soluzioni proposte non sono specifiche per il solo pubblico dei 50-60enni, soprattutto nel caso dei prodotti bancari, comprendendo infatti un target più ampio e generale. Nonostante questo, però, nulla impedisce di prenderle come idee, suggerimenti, e punti di partenza per la risoluzione del problema.

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