Nel 2017 il tasso di inflazione tornerà a crescere, e perché è necessario che questo accada?

Nonostante la politica estremamente accomodante della Banca Centrale Europea che per tutto il 2016 ha tentato di rilanciare il tasso di inflazione portandolo nuovamente vicino a una soglia del 2%, l’anno si è chiuso per l’Italia in deflazione, con un tasso medio del -0,1% (dati Istat) . Una situazione per certi versi straordinaria, che non si verificava da 57 anni. L’ultima volta è stato nel lontano 1959. Ma cosa rappresenta l’indice dei prezzi al consumo, e perché ci si deve preoccupare se non riparte? Il tasso di inflazione indica la variazione del potere d'acquisto della moneta. Questo significa che se il tasso è negativo, cosa che avviene in un contesto deflazionistico come quello attuale, i prezzi dei beni di consumo sono in diminuzione. Ma se a prima vista questa situazione potrebbe sembrare favorevole per il consumatore finale, perché permette a parità di denaro di acquistare di più, non lo è altrettanto per l’economia in generale, perché spinge a rinviare consumi di beni durevoli e investimenti, innescando una spirale negativa dannosa per tutti.

Ecco perché l’obiettivo statutario della Bce, anche per il 2017, è quello di riportare l’inflazione a un livello fisiologico vicino ma inferiore al 2%. Anche se, il massiccio programma di acquisto di Titoli di Stato e obbligazioni societarie (il quantitave easing) promosso a partire dal 2015 e continuamente prorogato, ha avuto finora effetti limitati. A questo punto, in una congiuntura come quella attuale, sembra che le uniche armi per la Banca Centrale Europea siano quelle di continuare con la politica monetaria accomodante anche per i mesi a venire. E, in effetti, Mario Draghi, Presidente della Bce, ha annunciato che la Banca Centrale continuerà il suo programma di acquisto all'attuale ritmo mensile di 80 miliardi di euro fino alla fine di marzo, mentre da aprile proseguirà con un importo mensile di 60 miliardi fino alla fine dell’anno. Anche oltre se sarà necessario. Anche se peseranno molto nel corso dei prossimi mesi le pressioni tedesche che richiedono una significativa riduzione, se non la fine, dello stimolo monetario e un contestuale rialzo dei tassi d’interesse a fronte di un aumento dell’inflazione già consolidato in tutta l’area Euro. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall'ufficio statistico europeo (Eurostat), infatti, lo scorso dicembre il tasso di inflazione nell’Eurozona ha superato le attese degli analisti registrando un valore tendenziale del +1,1%, contro il +0,6% di novembre.

Cosa accadrà dunque nel 2017? Secondo Standard & Poor's, la società privata con base negli Stati Uniti fra le prime tre agenzie di rating al mondo, il tasso di inflazione dovrebbe raggiungere un valore dell’1,50% circa nel primo trimestre del 2017. Improbabile, invece, che l’inflazione core, quel valore che non tiene conto delle variazioni di prezzo dei beni che presentano una forte volatilità, come quelli degli alimentari e dell'energia appunto, si attesti in modo significativo sopra la soglia dell’1%.

Il rialzo delle aspettative di inflazione, sia negli Stati Uniti sia in Europa, però, incide inevitabilmente sulle scelte di portafoglio. A soffrirne maggiormente potrebbero essere i mercati obbligazionari (vedi domanda 5) e in particolar modo, spiegano i gestori di Anima Sgr nella nota mensile sull’andamento dei mercati, gli emergenti: questi strumenti finanziari, infatti, storicamente soffrono la risalita dei tassi e una divisa americana più forte.

Al contrario, invece, influenze positive derivanti da un’economia in accelerazione, dal rialzo dei tassi e dal conseguente sollevamento delle aspettative sull’inflazione, sono previste sul comparto azionario (vedi domanda 7) .

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