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SOMMARIO

È una coalizione internazionale di oltre 300 investitori istituzionali (comunità religiose, fondi pensione, fondazioni, società di gestione del risparmio) che, messi insieme, gestiscono un patrimonio di oltre 100 miliardi di dollari. All'Osservatorio finanza etica spiega come si convincono le multinazionali americane ad essere più "etiche". E cosa ci guadagna il singolo risparmiatore.
di PierEmilio Gadda

Parla Iccr, il più grande investitore etico al mondo

1971. Durante l’assemblea degli azionisti della General Motors, la ICCR (Interfaith Center on Corporate Responsability, vedi box) presenta una mozione: chiede che la multinazionale si ritiri dal Sudafrica, dove, in quel momento, vige ancora la segregazione razziale. Solo il 20% degli azionisti vota a favore. Ma, per la prima volta, un’ investitore fa sentire la propria voce contro la società di cui è azionista.

2007. Alcune congregazioni religiose, per conto della ICCR, chiedono alla General Motors di ridurre le emissioni di gas serra provenienti dai tubi di scappamento delle automobili prodotte, attraverso l’adozione di tecnologie a basso impatto ambientale. La GM – reclamano i portavoce della ICCR - dovrà presentare un piano dettagliato per realizzare gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento.

Per 36 volte negli ultimi 36 anni, la General Motors è stata oggetto d’attenzione da parte della ICCR. Ma non c’è soltanto la GM. McDonald’s, Coca Cola, Microsoft, Google, Citigroup, Enron, Apple, Walt Disney, PepsiCo, Morgan Stanley, Ford, Manpower, Hewlett-Packard, Intel, Colgate-Palmolive, Bank of America, Nike, General Electric, Philip Morris, Wal-Mart…nell’elenco delle società contro cui la ICCR ha puntato l’indice negli ultimi trent’anni, compaiono quasi tutte le grandi multinazionali americane, equamente distribuite in tutti i settori industriali.

L’obiettivo è sempre lo stesso. Intraprendere un dialogo con le società nelle quali i membri della ICCR investono e incoraggiarle affinché adottino comportamenti socialmente responsabili. Sul tavolo, le questioni più importanti che riguardano lo sviluppo sostenibile: dal riscaldamento globale al rispetto dei diritti umani e dei lavoratori, dall’accesso a cure mediche, acqua e cibo, alla qualità della corporate governance.

Si parla anche di finanza. Come quando nel 2004, in anticipo di circa tre anni sullo scoppio della crisi finanziaria internazionale scaturita dal default dei subprime americani, la ICCR presentò una risoluzione chiedendo alla Lehman Brothers di sviluppare procedure di analisi più rigorose sui finanziamenti erogati e sui partner responsabili dello sviluppo di pratiche “predatorie” nell’erogazione di mutui ad alto rischio.

Quale strumento la ICCR ha a disposizione per farsi ascoltare dalle società nelle quali investe? Il denaro. I 300 investitori istituzionali che fanno capo alla coalizione internazionale, complessivamente, gestiscono un patrimonio di oltre 100 miliardi di dollari. “Ma se consideriamo l’insieme dei nostri partner e delle organizzazioni associate e affiliate con le quali cooperiamo, si raggiunge una somma che oscilla tra i due e i tre mila miliardi di dollari”, puntualizza Laura Berry, executive director della ICCR. Ad Ofe-Osservatorio finanza etica, Laura Berry spiega come si convincono le multinazionali americane (e non solo) ad essere più “etiche”. E cosa ci guadagna il singolo risparmiatore.

Ofe: Miss Berry, la ICCR ha cominciato a fare azionariato attivo più di 30 anni fa. Come nasce l’idea di far valere i propri diritti di azionista contro le società quotate?
Berry: Eravamo convinti che si potesse dialogare con le società di cui eravamo azionisti; e volevamo incoraggiarle ad adottare comportamenti che fossero in linea con le nostre convinzioni religiose.

Ofe: Un obiettivo ambizioso. Com’è andata a finire?
Berry: Sono passati 37 anni e noi siamo ancora qui. Nel 2007 abbiamo presentato 327 mozioni, rivolte a 218 società. 313 sono state presentate nei primi mesi del 2008. Nel 1971, quando iniziammo questa avventura, le risoluzioni furono soltanto 4.

Ofe: Cosa avete imparato in questi 30 di attività?
Berry: Che i movimenti tendono ad avere più successo quando coinvolgono tre soggetti cruciali: le persone, i governi, e gli investitori. Quando riusciamo a coinvolgere questi tre attori, la possibilità di avere successo aumenta significativamente. Un esempio può aiutarci a capire meglio.

Ofe: Il movimento contro l’apartheid in SudAfrica…
Berry: Quello è stato il primo movimento che abbiamo sostenuto. Il risultato fu eccezionale in termini di presa di coscienza collettiva: per la prima volta, ci rendemmo conto che gli investitori possono influenzare le imprese di cui sono azioniste, esercitando un impatto sul loro comportamento.

Ofe: In quel caso, contro quale società avete puntato l’indice?
Berry: La General Motors, all’epoca la più grande azienda produttrice di automobili al mondo. Come investitori, noi non volevamo fare soldi sulle rendite prodotte in quel regime repressivo. Chiedemmo alla GM di uscire dal SudAfrica.

Ofe: Quale fu la reazione della GM?
Berry: Era la prima volta che qualcuno, in qualità di azionista, utilizzava i propri diritti per influenzare il comportamento e la strategia di una società. Avviammo il dialogo nella veste di grandi investitori ma il rapporto fu inizialmente molto difficile: c’era una forte divergenza di opinioni.

Ofe: Alla fine non vinceste voi la battaglia…la vostra mozione non fu approvata durante l’assemblea degli azionisti.
Berry: Ma abbiamo avuto successo in almeno due direzioni: in primo luogo, abbiamo contribuito ad accelerare la fine dell’ Apartheid. E soprattutto, abbiamo dato vita ad un intero movimento, e ad un nuovo modo di considerare il ruolo dell’investitore.

Ofe: Qual è il vostro rapporto con la GM, oggi?
Berry: Molto positivo. Certo, non siamo d’accordo con loro su ogni cosa, e li incoraggiamo a migliorare su moltissimi aspetti della loro attività, ma il rapporto di collaborazione che ci lega, oggi, è ottimo.

Ofe: Quali sono stati i casi in cui la ICCR ha fallito?
Berry: Una delle questioni sulle quali non abbiamo ancora ottenuto i risultati sperati è quella degli alimenti geneticamente modificati, i cosiddetti OGM. Ma su questo tema stiamo lavorando e lavoreremo ancora.

Ofe: Come riuscite a convincere le grandi multinazionali ad assecondare le vostre richieste?
Berry: Ci piacerebbe pensare che se le società sono interessate e disponibili a partecipare al dialogo con la ICCR, è perché i nostri punti di vista – dal tema della giustizia a quello dello sviluppo sostenibile del pianeta - sono moralmente corretti…

Ofe: Tuttavia…
Berry: Ovviamente sappiamo che se le società dialogano con noi è per via dell’enorme capitale che rappresentiamo. Anche se non siamo gli azionisti di maggioranza, i nostri membri possiedono una porzione significativa del capitale azionario di molte società.

Ofe: Su quali società la ICCR ha intenzione di focalizzare la propria attenzione nel 2008?
Berry: Il nostro lavoro è organizzato sulla base di diverse aree tematiche: accesso alle cure mediche, Corporate governance, riscaldamento del pianeta, violenza e militarizzazione della società, promozione dei diritti umani, Cibo e acqua, giustizia ecologica, accesso ai capitali…

Ofe: Partiamo dal riscaldamento del pianeta.
Berry: A questo proposito, da qualche hanno abbiamo adottato un processo intersettoriale: consideriamo l’intero ciclo produttivo che porta all’emissione di gas serra, a partire dalle istituzioni finanziarie.

Ofe: Mi scusi, cosa c’entrano le banche con il riscaldamento del globo?
Berry: C’entrano, nella misura in cui ci sono istituzioni che finanziano la creazione di nuove infrastrutture per la produzione di energia “sporca”.

Ofe: Per esempio?
Berry: Siamo partiti con Bank of America e Citigroup. Ma vogliamo coinvolgere tutte le società che hanno a che fare in modo diretto o indiretto con la produzione di energia inquinante. Dalle aziende carbonifere globali, alle aziende manifatturiere che utilizzano “troppa” energia e che quindi sono corresponsabili della produzione di gas serra. Lo sa quali sono le aziende che utilizzano maggiori quantità di energia al mondo?

Ofe: Quelle che operano nell’industria siderurgica?
Berry: No, le società che producono cemento. In una fase in cui alcune aree del mondo in via di sviluppo stanno crescendo molto rapidamente, il bisogno di cemento è enorme, come anche l’impatto sulla produzione di gas serra.

Ofe: Come state lavorando, invece, sul tema dell’accesso alle cure mediche?
Berry: Abbiamo due ambiti di intervento, uno domestico, l’altro globale.

Ofe: Iniziamo dal primo.
Berry: Partiamo da un dato: diversamente da quanto accade in Europa, oggi, negli Stati Uniti, 40 milioni di persone non hanno libero accesso alle cure mediche. Anche in questo caso stiamo adottando un approccio intersettoriale.

Ofe: Chi sono i vostri interlocutori in questo momento?
Berry: Per esempio Wal-Mart, la maggiore catena americana della grande distribuzione.

Ofe: Cos’ ha a che fare la Wal-Mart con l’accesso alle cure mediche?
Berry: Alla Wal-Mart chiediamo che fornisca l’assicurazione sanitaria ai dipendenti che, a causa di uno stipendio troppo basso, non se la possono permettere.

Ofe: Questo per quanto riguarda gli Stati Uniti. E sul fronte globale?
Berry: Stiamo lavorando soprattutto sull’accesso alle medicine.

Ofe: L’Aids, la malaria, la tubercolosi restano problemi irrisolti e in drammatica espansione…
Berry: Per questo abbiamo iniziato a lavorare con alcuni governi ed altri attori, ad esempio la Gates Foundation, per assicurarci che le famiglie povere possano avere accesso alle medicine anche nelle aree meno sviluppate dell’Africa. Questo contribuirebbe a rallentare la diffusione di molte malattie. Su questo tema, stiamo dialogando soprattutto con le società farmaceutiche.

Ofe: La vostra politica di azionariato attivo si rivolge esclusivamente alle imprese americane?
Berry: È difficile definire esattamente cosa sia un'impresa americana...siamo partiti dalle società che sono registrate negli Stati Uniti, ma abbiamo dialogato anche con moltissime imprese che hanno la propria base operativa in Europa e continueremo a farlo.

Ofe: Attraverso quali soggetti operate in Europa?
Berry: Ad esempio, attraverso il programma europeo di cooperazione interregionale IIIC, lavoriamo con alcune società di gestione del risparmio europee. Abbiamo membri che provengono dall’Italia, dall’Australia, dal Regno Unito, dalla Francia: si sono rivolti a noi per ottenere delle linee guida da seguire nel dialogo con le imprese che operano in quei Paesi. I nostri partner più attivi, in questo momento, sono in Gran Bretagna e in Europa, ma l’iniziativa sta crescendo rapidamente anche altrove.

Ofe: Quali sono i vostri partner in Italia?
Berry: Tra i nostri affiliati, c’è, ad esempio, Etica sgr.

Ofe: Molti Stati, ancora oggi, si rendono responsabili di reiterate violazioni dei diritti umani, civili e politici nei confronti dei propri cittadini. Cosa fa la ICCR per contrastare questo fenomeno?
Berry: Buona parte del nostro lavoro in questa direzione è mediata da organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite o le Organizzazioni non governative che sono presenti nei Paesi dove si verificano violazioni dei diritti umani e civili. La nostra azione, comunque, è rivolta sempre al settore corporate.

Ofe: Qual è il ruolo delle organizzazioni non governative, in questo senso?
Berry: Le Ong ci forniscono informazioni sul comportamento delle società in determinati Paesi e sulla loro eventuale corresponsabilità nella violazione dei diritti umani.

Ofe: Su quali società state vigilando, attualmente?
Berry: In questo momento, stiamo portando avanti un’azione di engagement (azionariato attivo ndr) molto forte contro l’industria alberghiera, che in alcuni Paesi appare coinvolta nel commercio della prostituzione minorile. Poi, stiamo interloquendo con alcune compagnie petrolifere nigeriane, a proposito delle condizioni di lavoro vigenti in quel Paese. In Africa abbiamo lavorato con la Walt Disney e McDonald. In altri Paesi, ad esempio Cina e India, svolgiamo un’azione di training: cerchiamo di “educare” gli operatori dell’industria manifatturiera al corretto utilizzo delle risorse idriche e al rispetto dei diritti umani.

Ofe: La ICCR riunisce oltre 300 investitori istituzionali, tra enti religiosi, fondi pensione, fondazioni, società di gestione del risparmio ecc. All’interno di una compagine così numerosa ed eterogenea, com’è possibile trovare un accordo su valori e obiettivi da perseguire?
Berry: Questa è una bella domanda…Negli Stati Uniti, non diciamo che ci sono due temi di cui non si dovrebbe mai parlare: religione e politica. Piuttosto gli americani non hanno alcun problema a parlare di denaro…

Ofe: Quindi…
Berry: Bene, noi siamo una coalizione di istituzioni che da oltre 30 anni riesce a discutere di religione, politica e denaro. Ogni giorno vediamo lavorare alcune tra le comunità protestanti più liberal a fianco di organizzazioni cattoliche ed ebraiche. È un piccolo miracolo.

Ofe: Come siete riusciti a realizzare questo equilibrio di intenti?
Berry: Semplicemente, le questioni su cui c’è disaccordo tra vari gruppi non vengono trattate.

Ofe: Questo approccio non rischia di limitare il raggio di azione della ICCR, escludendo alcuni temi rilevanti?
Berry: C’è così tanto da lavorare sui temi dei diritti umani, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile che preferiamo dedicarci a questioni e problemi su cui c’è una buona intesa di fondo.

Ofe: Come sta andando il settore dell’investimento socialmente responsabile?
Berry: La mia impressione è che sia in atto un grande cambiamento.

Ofe: In quale direzione?
Berry: Inizialmente l’attenzione verso i temi dell’investimento socialmente responsabile era diffusa esclusivamente tra istituzioni ed individui con connotazioni religiose. Oggi si sta affermando il concetto di cittadino-investitore che coinvolge anche persone che non hanno una sensibilità religiosa, ma vogliono sapere come vengono investiti i propri risparmi.

Ofe: L’investitore socialmente responsabile agisce anche in forma individuale?
Berry: Gli investitori investono soprattutto attraverso grandi forme aggregative: fondi pensione, fiduciari, comunità religiose, gruppi organizzati…Anche i grandi patrimoni sono sempre più interessati al business dell’investimento socialmente responsabile. Ma io credo che l’interesse per il business dell’investimento socialmente responsabile sia destinato a crescere anche tra gli investitori individuali.

Ofe: Lei crede che esista veramente un modo di gestire il denaro più “buono” e socialmente responsabile, oppure, la cosiddetta “finanza etica” è pura utopia?
Berry: Certamente abbiamo un grosso lavoro da fare…ma io credo che la finanza etica non sia pura utopia. Investire attraverso un approccio che prenda in considerazione anche i valori e non soltanto l’incremento della ricchezza, permette all’investitore di essere più consapevole e di sapere dove finiscono i suoi soldi. Le persone si stringono in misura crescente attorno a grandi questioni globali come il cambiamento climatico e il rispetto dei diritti umani…

Ofe: Allora, possiamo essere ottimisti?
Berry: Già oggi stiamo assistendo ad un cambiamento molto rilevante nel modo in cui le persone vedono l’investimento. Io credo veramente che questo cambiamento subirà una forte accelerazione proprio nel prossimo decennio.

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