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SOMMARIO

Ecco perché la proposta di Draghi aiuta veramente i clienti. Secondo un’indagine di Of-Osservatorio finanziario, solo alcune Convenzioni con enti o associazioni di categoria prevedono mutui a tasso variabile indicizzati al tasso di sconto. E così, negli altri casi, la rata del mutuo costa di più. Ma c'è una novità...
di PierEmilio Gadda

Mutui: abbasso l'Euribor, viva il tasso Bce

Secondo un’indagine di Of-Osservatorio finanziario, nessuno dei 50 istituti di credito monitorati propone mutui a tasso variabile indicizzati al tasso Bce. All’interno del campione preso in esame da Of - che comprende banche grandi e piccole, italiane e straniere, specializzate o “generaliste”- la maggior parte dei mutui a tasso variabile è agganciata all’Euribor 3 mesi (55,6% dei finanziamenti), mentre nel 42,2% dei casi il parametro di indicizzazione utilizzato è l’Euribor a 1 mese. Ma sul mercato è in arrivo una nuova linea di prodotti lanciata proprio oggi da Banca Popolare di Milano. Si chiama Euromutuo , prevede un tasso di interesse ancorato al tasso Bce e sarà disponibile nelle filiali del gruppo Bipiemme a partire da lunedì prossimo, con uno spread dell'1,50% sul tasso di sconto ed una durata massima di 30 anni.

Solo in poche altre eccezioni il finanziamento è indicizzato al tasso Bce. Ma si tratta, comunque, di mutui erogati nel contesto di particolari accordi o convenzioni, come nel caso del “Mutuo ipotecario a favore degli iscritti all'ente nazionale per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura” della Banca Popolare di Sondrio. Oppure, in alternativa, di prestiti personali, come il finanziamento C1 50 & Più Fenacomdi Banca Campania, dedicato a tutti gli iscritti al sindacato pensionati del commercio associati ad ASCOM.

Il problema di quale parametro sia più adatto per il calcolo del tasso nei mutui indicizzati è stato, di recente, innalzato agli onori della cronaca proprio da un intervento del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi: “E' opportuno che le banche usino tassi diversi dall'Euribor per i mutui a tasso variabile”, ha detto Draghi a margine delle celebrazioni per la Giornata Mondiale del risparmio, invitando anche il Governo a “riconsiderare la penalizzazione fiscale dei depositi, che grava sui risparmiatori e pone la raccolta delle banche italiane in condizioni di svantaggio competitivo rispetto a quella delle banche degli altri paesi europei”.

Alcune settimane prima, anche Lorenzo Bini Smaghi, autorevole economista e membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, era intervenuto sull’argomento, auspicando, in un’intervista al Sole 24 Ore, un intervento “per via legislativa o attraverso accordi privati”, finalizzato ad ancorare i mutui al tasso Bce.

La questione non è prettamente teorica. Come ha ricordato lo stesso Draghi, l'ampia diffusione dei mutui a tasso variabile negli ultimi anni “ha comportato una aumento dell'incidenza della rata sul reddito disponibile, che, alla metà di quest’anno, superava il 20%”. Risultato: Le famiglie con reddito più basso, oggi “sopportano una rata stimabile in quasi il 40% del reddito disponibile”. Cosa c’entrano il tasso Bce e l’Euribor in tutto questo? C’entrano, perché, se la rata mensile del mutuo è cresciuta di 200 o 250 euro nel corso degli ultimi anni, lo si deve anche alla dinamica “perversa” del parametro Euribor, cui i mutui a tasso variabile sono agganciati.

Vale la pena ricordare che, all’indomani dell’intervento del Consiglio direttivo della Bce che l’8 ottobre scorso decise di tagliare il costo del denaro portandolo al 3,75%, il tasso interbancario in euro a tre mesi (Euribor) restava al 5,39%, il livello più alto di sempre. La “colpa” di questo scollamento è dovuta, si sa, a quella paura illiquida, come la definì a suo tempo Massimo Giannini sulle colonne di Affari&Finanza, che ha portato gli istituti di credito a non prestarsi più né fiducia, né denaro: con il conseguente impennarsi del parametro Euribor, che esprime, per l’appunto, il tasso a cui le banche si fanno credito sui mercati interbancari.

Anche ad inizio novembre, impassibile alle previsioni che vedrebbero un ulteriore riduzione del costo del denaro, l’Euribor a tre mesi si mantiene fermo a quota 4,80%, segnando un divario di oltre un punto percentuale rispetto al tasso Bce (3,75%). Se la questione si ripropone oggi con rinnovato vigore è proprio perché, mentre fino a pochi mesi fa, uno scarto tra i due valori era considerato fisiologico ma non superava in genere 20 o 25 punti base, oggi, il gap tra Bce ed Euribor ha raggiunto livelli anomali, complicando ulteriormente la vita dei mutuatari che negli anni passati si sono indebitati a tasso variabile.

Ipotizziamo il caso di un cliente che quattro anni fa abbia acceso un mutuo di 150.000 euro a tasso variabile, con durata 25 anni e uno spread (che rappresenta il margine della banca da sommare al parametro Euribor per calcolare il tasso di interesse) di 1,50 punti percentuali. Nell’ottobre del 2004 il tasso Bce era ancora fermo al 2%, mentre l’Euribor 3 mesi era al 2,18%. Per un tasso del 3,68% (Euribor 3 mesi + spread) , la rata iniziale era di 765, 49 euro; se agganciata al tasso Bce, la rata sarebbe stata di 750,94 euro. Ma vediamo qual è la situazione del mutuatario oggi. Con l’Euribor al 4,80%, la rata è salita a 994,15 euro. Il mutuatario si trova, quindi, a pagare 228 euro in più rispetto alla rata iniziale. E se il mutuo fosse agganciato al tasso di sconto (Bce)? La rata oggi sarebbe di 898,87 euro, più alta, rispetto alla ipotetica rata iniziale che il mutuatario avrebbe pagato nel caso di un finanziamento agganciato al tasso Bce. Tuttavia, in quel caso, lo scarto tra la rata iniziale e la rata odierna sarebbe oggi più basso (148 euro contro i 228 dell’esempio reale). E comunque, il mutuatario, nell’ipotesi di un mutuo agganciato al tasso bce, oggi pagherebbe 100 euro in meno sulla rata di novembre.

Questo semplice confronto spiega perché, nei giorni scorsi, il governatore e l’economista hanno suggerito di abbandonare la “vecchia” indicizzazione all’Euribor, a favore di mutui agganciati al tasso Bce, più basso e, soprattutto, più stabile. Ma attenzione. Se, il linea di principio, il passaggio dall’Euribor al tasso Bce appare una soluzione praticabile, questa decisione potrebbe anche avere ripercussioni spiacevoli. Per concedere prestiti, infatti, le banche fanno approvvigionamento sul mercato interbancario, e quindi pagano il denaro ad un prezzo più alto rispetto al tasso Bce. Se i mutui fossero agganciati al tasso di sconto, le banche dovrebbero prestare denaro ad un tasso più basso rispetto a quello sostenuto per procurarsi la liquidità necessaria. Allo stato attuale, e senza una riforma del sistema, questo, con ogni probabilità, porterebbe gli istituti di credito ad aumentare gli spread per mantenere i margini previsti, compromettendo in tutto o in parte i benefici derivanti dal passaggio Euribor-Bce.

Un fatto, comunque è certo. Come ha ricordato Bini Smaghi nei giorni scorsi, “Oggi il mercato non funziona; il tasso interbancario è totalmente fuori linea e a pagarne il prezzo sono i cittadini che hanno il loro mutuo indicizzato all'Euribor. Non è giusto che a pagare il prezzo della sfiducia fra le banche siano loro”.

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