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SOMMARIO

Il dl fissa un tetto alle rate dei mutui a tasso variabile (4%) e stabilisce che i nuovi mutui siano agganciati al tasso Bce, anziché all’Euribor. Ma il testo varato dal governo presenta molte ambiguità. Chi ci guadagna e quanto? Chi sarà escluso dai benefici della rata calmierata?

Decreto anti-crisi: come cambia la rata nel 2009

In riferimento alle norme “salva-rate” del decreto anti-crisi, Giulio Tremonti, è stato chiaro: “Per quanto riguarda i mutui a tasso variabile in essere, il tasso per il privato non può superare il 4%. Per i mutui futuri la base di riferimento sarà il tasso stabilito dalla Bce”. Ma, a chi l’ha letto, quanto formulato nel decreto legge “anti-crisi” controfirmato dallo stesso Ministro dell’Economia è parso assai meno chiaro.

Recita il dl n.185 del 29 novembre 2008, art. 2, comma 1: “L'importo delle rate, a carico del mutuatario, dei mutui a tasso non fisso da corrispondere nel corso del 2009 è calcolato con riferimento al maggiore tra il 4 per cento senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto. Tale criterio di calcolo non si applica nel caso in cui le condizioni contrattuali determinano una rata di importo inferiore”.

Il primo dubbio da dissipare concerne la soglia del 4%. Non è chiaro, infatti, se il valore massimo del tasso applicabile nel 2009 ai mutui variabili sia riferito al solo parametro di indicizzazione cui è agganciato il mutuo (Euribor), oppure al cosiddetto “tasso finito”, comprensivo di spread. “Una lettura letterale del decreto indurrebbe a propendere per la prima ipotesi, laddove il testo fa esplicito riferimento al “4 per cento senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione””, afferma Andrea Mencarini, responsabile marketing famiglie del Gruppo Banco Popolare. Se così fosse, il limite massimo sarebbe più alto e oscillerebbe tra il 5 e il 6% a seconda dei casi. “Tuttavia, quanto dichiarato da fonti governative nelle ultime ore lascerebbe supporre che con la dizione “4%” il testo faccia riferimento al tasso finito. In questo caso”, annota Roberto Anedda, vicepresidente di Mutui Online, primo broker specializzato nella vendita di mutui attraverso il canale web, “lo “sconto” riguarderebbe grosso modo tutti i clienti che hanno accesso il mutuo tra la metà del 2003 e la metà del 2006”. E, secondo le interpretazioni prevalenti, ne dovrebbero beneficiare tutti coloro che hanno sottoscritto mutui a tasso “non fisso”, quindi, anche a tasso misto o variabile a rata costante.

Ciò detto, un punto deve essere chiaro: il limite massimo del 4% (con o senza spread) non sarà valido per tutti i mutui a tasso variabile accesi prima del 31 ottobre 2008, ma soltanto per quelli che al momento della sottoscrizione prevedevano un tasso inferiore alla soglia del 4%: su questo il decreto non lascia dubbi quando stabilisce che “il tasso […] da corrispondere nel 2009 è calcolato con riferimento al maggiore tra il 4 per cento […] e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto”. Quindi, per i mutui che al momento della sottoscrizione costavano più del 4%, il tasso “soglia” sarà rappresentato dal tasso contrattuale al momento dell’accensione del mutuo.

I più puntigliosi fanno anche notare che quando il decreto parla di Tasso, non è chiaro se il riferimento sia al Tan (tasso annuo nominale) o al Taeg (Tasso annuo effettivo globale), che indica il costo effettivo del finanziamento e include anche voci di spesa come perizia sull’immobile, istruttoria, spese di incasso rata ed eventuale assicurazione obbligatoria; tenendo presente che il divario tra Tan e Taeg oscilla normalmente tra lo 0,15 e lo 0,30% per un mutuo di 100mila euro a 15 anni, tra gli operatori prevale comunque l’interpretazione secondo cui la dizione “tasso” si riferisca al tasso annuo nominale (Tan).

Quale sarà l’entità della riduzione per chi, negli anni passati si è indebitato a tasso variabile? Proviamo a fare due conti. Ipotizziamo il caso di un mutuatario (Tizio) che nell’ottobre 2004 abbia acceso un mutuo di 150.000 euro a tasso variabile, con durata 25 anni e uno spread di 1,50 punti percentuali. Con l’Euribor a 3 mesi al 2,18% ed un tasso del 3,68% (Euribor 3 mesi + spread) la rata iniziale sarebbe stata di 765,49 euro, mentre oggi l’Euribor al 3,85 avrebbe fatto salire l’esborso mensile a quota 907,74 euro. Il caso indicato ricadrebbe nell’ipotesi del “tetto al 4%” ma l’esito potrebbe essere molto diverso a seconda che la soglia venga riferita al solo parametro di riferimento o al tasso finito. Nel primo caso, infatti, il mutuatario si troverebbe a pagare nel costo di tutto il 2009 una rata di 791.76, risparmiando circa 116 euro al mese (a carico dello Stato). Nell’ipotesi in cui il 4% si riferisca al solo parametro di riferimento, la soglia sarebbe più elevata rispetto al valore attuale dell’Euribor e di conseguenza, il mutuatario non trarrebbe alcun beneficio, e si ricadrebbe nella terza ipotesi descritta, sebbene in modo criptico, all’interno dell’art. 2: “Tale criterio di calcolo non si applica nel caso in cui le condizioni contrattuali determinano una rata di importo inferiore”.

Prendiamo, invece, il caso di un mutuo acceso da Caio nell’agosto del 2006 , quando il tasso di prestito interbancario a tre mesi aveva raggiunto quota 3,26% e - ipotizzando uno spread dell’1,20% - il mutuo costava il 4,46%. Per un mutuo di uguale importo e durata, la rata iniziale sarebbe passata da circa 830.35 di due anni e mezzo fa ai 881.26 di oggi. Poiché il dl stabilisce che il tetto massimo applicabile sia “il maggiore tra il 4 per cento […] e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto”, in questo caso, lo sconto sancito del decreto anti-crisi riporterebbe la rata all’importo iniziale (830,35), calcolato sul tasso del 4,46%, con un risparmio di circa 51 euro.

Anche ammettendo che l’ipotesi avanzata da Anedda corrisponda al vero, e che quindi il tetto del 4% sia comprensivo dello spread, i potenziali benefici per i mutuatari tenderanno a ridursi significativamente se l’eventuale taglio del tasso di sconto di almeno mezzo punto percentuale da parte della Bce a dicembre – ritenuto molto probabile – dovesse poi trascinare verso il basso anche i tassi di prestito interbancari.
Prendiamo in esame gli esempi precedenti. Se si dovesse mantenere un gap di circa 0,60 punti percentuali tra il Tasso Bce e l’Euribor a 3 mesi (ma alcuni analisti ritengono probabile che il divario si riduca ulteriormente nei prossimi mesi) e ammettendo che la Bce porti il tasso di sconto al 2,75%, l’Euribor a tre mesi passerebbe dal 3,85 di oggi al 3,35%. In questo caso, a parità di importo (150.000 euro), durata (35 anni), e spread (1,50%) la rata del mutuo di Tizio scenderebbe dai 907,74 euro agli 863,83 di dicembre 2008. Lo sconto derivante dall’applicazione del dl 185/2008 sarebbe inferiore ma comunque consistente (72) euro, con la nuova rata di gennaio a quota a 791,76 euro. Se, tuttavia, come ritiene l’ufficio studi della spagnola BBVA, nel 2009 il Tasso Bce dovesse scendere all’1,50%, anche ipotizzando un divario di 60 punti base tra Euribor a tre mesi e tasso ufficiale di sconto, i benefici del decreto anti-crisi verrebbero ad annullarsi completamente.

Lo stesso ragionamento vale per il secondo cliente, Caio: con il tasso Bce al 2,75%, e l’Euribor al 3,35%, il tasso (Euribor + spread) scenderebbe dall’attuale 5,05 al 4,55%, calmierando l’esborso mensile fino a 838.01, già nel mese di dicembre. Ripercorrendo il ragionamento precedente, il tasso massimo applicabile al mutuo di Caio in virtù del decreto legge appena varato, sarebbe non il 4% ma il tasso iniziale (4,46%), con uno “sconto” di circa 8 euro sull’importo mensile. Sconto che, come nel caso di Tizio, verrebbe prosciugato nell’ipotesi di tassi calanti anche nel corso del 2009.

In conclusione: una dinamica di tassi calanti nel costo del 2009 tenderà ad inficiare i potenziali benefici del decreto anti-crisi sul fronte mutui: analisi congiunte Bloomberg-BBVA, del resto, ipotizzano l’ Euribor a 3 mesi sotto il 3% già nel primo trimestre dell’anno; il tasso di prestito interbancario a 3 mesi dovrebbe quindi planare fino al 2,75% tra il secondo ed il terzo trimestre, per poi risalire attorno al 3%, ma non prima del quarto trimestre 2009, quando gli “effetti” del decreto verranno ad esaurirsi.

---- C’è un’altra questione irrisolta: quella che riguarda l’indicizzazione al tasso Bce dei nuovi mutui variabili a partire dal 2009. Sui benefici relativi all’adozione del tasso ufficiale di sconto come parametro di indicizzazione dei mutui a tasso variabile - maggiore stabilità, convenienza e trasparenza - si è già detto (leggi l’articolo): ciò non toglie che il documento redatto dalla Presidenza del Consiglio presenti alcune ombre: al comma 5, l’art.2 obbliga le banche ad assicurare ai clienti “la possibilità di stipulare contratti a tasso variabile indicizzato al tasso” Bce. In sostanza, il decreto non dice che, a partire dal 2009, tutti i nuovi mutui debbano necessariamente essere indicizzati al tasso ufficiale di sconto, come il legislatore aveva inizialmente stabilito, ma impone alle banche di predisporre prodotti ad hoc da affiancare all’offerta attuale. Ma attenzione: una cosa è dire che le banche debbano arricchire l’offerta di nuovi prodotti indicizzati al Bce, un’altra costringerle a erogare soltanto mutui indicizzati al tasso Bce.

Del resto, anche se così fosse, una improvvisa modifica delle “regole del gioco”, porterebbe ad alcune ripercussioni sulle politiche di pricing adottate dalle banche: per far fronte alle proprie attività (impieghi) e concedere prestiti, infatti, le banche fanno approvvigionamento (anche) sul mercato interbancario, e quindi pagano il denaro ad un prezzo più alto rispetto al tasso Bce. Se le banche fossero tenute ad indicizzare tutti i nuovi mutui al tasso ufficiale di sconto, si troverebbero a prestare denaro ad un tasso più basso rispetto a quello sostenuto per procurarsi la liquidità necessaria sul mercato. Allo stato attuale, e senza una riforma del sistema, questo, con ogni probabilità, porterebbe gli istituti di credito ad aumentare gli spread per mantenere i margini previsti, compromettendo in tutto o in parte i benefici derivanti dal passaggio Euribor-Bce.

Per concludere: al fine di quantificare l’impatto che le misure adottate dal Consiglio dei Ministri saranno in grado di esercitare sulla rata dei mutuatari, è necessario attendere chiarimenti e precisazione da fonti governative. Ma l’impressione è che il decreto sia destinato ad incidere (forse) più sulle decisioni di pianificazione finanziaria delle famiglie, nell’ottica di rilanciare i consumi, che sulla rata del mutuo. Del resto il Ministro dell’Economia l’aveva detto “Quello che vogliamo ottenere subito e' la fiducia”.

Sullo sfondo, rimane un interrogativo: Cosa succederà ai mutui a tasso fisso? Nulla cambierà. “Un nostro intervento”, si è giustificato Tremonti, “sarebbe stato illegale”. Sarà. Ma qualcuno potrebbe obiettare che, anche questa volta, vengono “premiati” coloro che si sono accollati il rischio del variabile, magari malconsigliati dalle banche, mentre tutti i mutuatari che negli anni passati hanno scelto di indebitarsi a tasso fisso, accettando un costo più elevato pur di avere la garanzia di una rata certa, non otterranno alcun beneficio.

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Leggi anche il Blog di Francesca Tedeschi "Tasso di Stato"

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