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50 anni/Parla lo psichiatra. Come uscire dal tunnel della de... OF OSSERVATORIO FINANZIARIO

SOMMARIO

Calo dell’autostima, senso di vergogna, ansia, angoscia, pensieri negativi ricorrenti, insonnia. La perdita (coatta o no) del lavoro ha spesso risvolti non solo sul piano economico. Of ha chiesto a Giovanni Migliarese, psichiatra all’A.O. Fatebenefratelli di Milano, cosa succede quando la vergogna di aver perso il lavoro diventa insopportabile, e quali sono i metodi per uscire dal tunnel, in fondo al quale, talvolta, può trovarsi un gesto ultimo ed estremo

50 anni/Parla lo psichiatra. Come uscire dal tunnel della depressione

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Ci si isola, si perde la voglia di compiere tutte quelle attività quotidiane un tempo ritenute normali, si prova vergogna di fronte agli amici, alla famiglia e con il proprio partener. Subentra il senso di frustrazione, di impotenza, di fallimento, e con autoaccuse e pensieri negativi a catena, ci si incanala in un tunnel fatto di depressione e sfiducia in se stessi, comportamenti del tutto negativi, se invece la necessità è proprio quella di rilanciarsi sul mercato del lavoro, reinventarsi, tornare operativi.

La cronaca italiana riporta i dati di quando, purtroppo, non si riesce a uscire da questo vortice che affossa, dove spesso il fondo è rappresentato da un gesto disperato.
165 i suicidi dal 2012 al primo semestre del 2013. Queste le cifre, terrificanti, di chi decide di compiere un gesto estremo di fronte a pesanti difficoltà lavorative ed economiche.

La crisi economica e la perdita del lavoro, in Italia, compaiono tra le prime motivazioni che spingono al suicidio: 30% in più, negli ultimi 4 anni, i casi che vedono problematiche economiche alla base del gesto estremo, con un boom nel consumo di antidepressivi. I risultati di una recente indagine del Centro Studi e Ricerche socio-economiche dell'università Link Campus University di Roma, parlano chiaro: 89 i suicidi nel 2012 (con un picco a maggio), 48 i tentati suicidi, 76 i casi nel primo semestre del 2013, con il triste primato del Nord-Est (30%), Veneto in testa.

Le fasce maggiormente colpite sembrano essere quelle dei 45-54 anni (40 casi) e dei 55-64 anni (20 casi): un segmento di popolazione che soffre particolarmente, a livello economico/sociale/psicologico, delle difficoltà attuali, comprendendo anche quei lavoratori espulsi dal mercato ma non ancora idonei a ricevere il trattamento pensionistico.
La depressione non guarda in faccia nessuno: imprenditori, commercianti, disoccupati, pensionati, oppressi da gravi difficoltà economiche e dalla vergogna di perdere la propria dignità, che ritengono il togliersi la vita l’unica via rimasta percorribile.

Of indaga le cause di questo grave allarme nazionale, con l’aiuto di Giovanni Migliarese, dirigente psichiatra all'A.O. Fatebenefratelli di Milano, dove lavora da sette anni, dopo la laurea in medicina nel 2002 e la specializzazione in psichiatria nel 2006, che ha partecipato inoltre a vari progetti specifici e multi-disciplinari sulla gestione del comportamento suicidale e parasuicidale, sulla diagnosi precoce dei disturbi psichici. ---- Of: Parliamo di quella fascia di lavoratori tra i 50 e i 60 anni che, per volontà propria o per volontà d’altri, si ritrova ai margini del mercato lavorativo. Quanti casi ha seguito, nell’ultimo anno?
Migliarese: Premetto che essendo psichiatra, mi ritrovo a ricevere pazienti che spesso presentano situazioni più problematiche e impegnative, con un disagio che è diventato patologico. Nell'ultimo anno avrò seguito una quindicina/ventina di pazienti che presentavano questo disagio.

Of: Quando risulta opportuno rivolgersi a uno specialista se si vive questo tipo di situazione?
Migliarese: Quando si affrontano situazioni in cui si vive un fallimento personale, come la perdita del lavoro, ma anche la fine di una relazione o un lutto, l’intervento dello specialista non deve essere la prima soluzione.

Of: Qual è la prima cosa da fare?
Migliarese: Innanzitutto bisogna cercare di metabolizzare il cambiamento e di gestirlo con le proprie risorse e capacità. La responsabilità di superare il disagio personale non deve essere affidata in prima battuta allo psicologo o allo psichiatra, ma a se stessi.

Of: Invece, quello di delegare ad altri, è un fenomeno che si sta diffondendo…
Migliarese: È vero. Penso ad esempio a tutti quei genitori separati che mandano i figli dallo psicologo, invece di affrontare il “dramma” della separazione con loro, e aiutarli in prima persona a capire e superare il problema.

Of: Quando allora diventa indispensabile richiedere aiuto a uno specialista?
Migliarese: Diventa necessario consultare uno specialista quando il disagio persiste e diventa patologico, quando cioè si presentano tutti quei sintomi, come ansia, depressione, insonnia, che complicano la vita di tutti i giorni. Un altro campanello d’allarme da non sottovalutare è il percepire attività quotidiane che si svolgevano tranquillamente, come andare a prendere i figli a scuola, vedere gli amici, uscire, avere una vita sociale, come ostacoli insormontabili, eliminandole man mano dalle proprie giornate.

Of: Si avverte quindi un personale senso di disagio, difficoltà, insoddisfazione, arrendevolezza…
Migliarese: Esattamente. In questo caso fare due chiacchiere con uno psicologo o uno psichiatra è consigliabile. La terapia inoltre può essere affiancata da strumenti farmacologici.

Of: Con quali benefici?
Migliarese: Una cura farmacologica, può rivelare molto utile per combattere tutti quei sintomi di ansia e depressione che impediscono al paziente di impiegare al meglio le proprie capacità e risorse per superare il problema.

Of: Solitamente in queste situazioni, lutti, separazioni, licenziamenti, qual è il tempo medio in cui si supera il problema? Quando si può considerare il problema persistente?
Migliarese: Il sistema classificatorio utilizzato in psichiatria fino a pochissimo tempo fa (DSM-IV TR) definiva in 6 mesi il tempo limite per superare un lutto: una durata eccessiva, oltre a una particolare costellazione sintomatologica, lo caratterizzava come una situazione patologica. Possiamo prendere a esempio questa tempistica.

Of: Immagino però che la personalità di ognuno incida notevolmente…
Migliarese: Certamente, infatti non esistono regole fisse, ognuno ha il proprio tempo, che dipende poi da come si evolve la situazione, da quanto si aggrava o migliora. ---- Of: Quella di chi perde il lavoro, può essere considerata una nuova tipologia di pazienti?
Migliarese: No, perché c’è sempre stata. La perdita del lavoro, volontario o involontario, rientra nella casistica della gestione del fallimento personale, che comporta l’accettazione di un cambiamento importante nella propria vita. Casi come la fine di una relazione, lutto, divorzio, pensione, licenziamento si affrontano metabolizzando il cambiamento e capendo come trarne giovamento.

Of: E secondo lei, la crisi ha incrementato il numero di questi pazienti?
Migliarese: La crisi ha sicuramente aumentato il numero dei casi. Essa ha inciso e incide fortemente sulla società, ma è necessario tenere in considerazione anche questioni socio-culturali.

Of: Ovvero?
Migliarese: Dal secondo dopoguerra in poi, abbiamo vissuto in una fase di benessere diffuso, per cui si è meno abituati ad affrontare situazioni traumatiche e frustranti, con le paure e le preoccupazioni che ne conseguono.

Of: È una domanda a cui magari non ci sono risposte specifiche, ma lei saprebbe indicare quali sono le caratteristiche più comuni a questa tipologia di pazienti? Provenienza sociale, geografica, sesso, età?
Migliarese: No, non sono stati compiuti degli studi specifici. Sicuramente la fascia dei 50-60 anni è particolarmente vulnerabile, anche perché è l’età in cui comincia quel delicato percorso che porta alla vecchiaia, accompagnato da un profondo cambiamento psicologico interno che interessa la persona.

Of: Un doppio cambiamento quindi, per chi vive questo disagio a 50 anni…
Migliarese: Sicuramente. Infatti, a prescindere dal lavoro o da altro, questa fascia di età presenta già di per sé degli aspetti delicati che riguardano l’accettazione di una serie di cambiamenti, fisici, psicologici, relazionali.

Of: Quali sono le difficoltà a livello psicologico e relazionale che vive una persona che perde il lavoro tra i 50 e i 60 anni?
Migliarese: Innanzitutto prova un forte senso di vergogna, da cui ne consegue una difficoltà nell’esprimere il proprio disagio, che porta anche a ridurre le relazioni, le amicizie e i contatti con gli altri, proprio perché non si vuole dare un’immagine di sé negativa e di fallimento, per cui la tendenza è quella di chiudersi in se stessi e isolarsi.

Of: Un comportamento che sicuramente si adotterà anche all’interno dell’ambiente famigliare…
Migliarese: Esatto. Un’altra importante problematica che si può presentare riguarda il livello famigliare, quando cioè, invece che unirsi in un momento di difficoltà, iniziano una serie di accuse e rimproveri che un partner rivolge all’altro (ad esempio, la moglie al marito), che si sommano, soprattutto in un nucleo famigliare mono reddito, a preoccupazioni esclusivamente economiche, causando ulteriori chiusure. ---- Of: E questo a cosa porta?
Migliarese: Queste tensioni sono pericolose, perché possono scatenare una serie di eventi a catena, che portano l’individuo in questione ad avvertire un senso ancora maggiore di disagio e depressione personale. Atteggiamenti come questi, di accuse e rimproveri, non rinforzano i legami, li indeboliscono, invece è molto importante rimanere uniti nei momenti di difficoltà.

Of: Qual è quindi il percorso da affrontare per superare il senso di fallimento?
Migliarese: Si tratta di un lavoro comune a tutte le situazioni in cui si vive un grande cambiamento: accettare la perdita, valutare i pro e i contro che la nuova situazione ci presenta e individuare, se ci sono, quegli aspetti positivi che si possono cogliere.

Of: Ad esempio?
Migliarese: Il posto di lavoro che abbiamo perso era troppo stressante? Era un ambiente che aveva risvolti negativi sulla nostra persona? Da tempo si aveva in mente di mettere a frutto un progetto di lavoro in proprio? Questi, ad esempio, possono essere aspetti positivi da riconoscere. L’importante è di non negare il problema, ma metabolizzarlo e poi, tramite risorse personali che possono essere integrate dall’aiuto dello specialista, affrontarlo e imparare a gestirlo.

Of: Vorrei approfondire il ruolo che riveste la famiglia in queste situazioni. Cosa si può fare di concreto per aiutare un proprio caro che attraversa un periodo così delicato?
Migliarese: I famigliari sono importanti, necessari, ma è prioritario che sia la persona a impegnarsi e attivarsi. Il problema sorge comunque quando il nucleo famigliare invece che unirsi si disgrega, a causa di tensioni, accuse, critiche continue.

Of: Cosa fare per evitare che si creino queste tensioni?
Migliarese: È importantissimo dotarsi di una buona dose di buon senso: rispettare i tempi di chi si ha vicino e sapere quando è il momento giusto per parlargli o intervenire. A volte attendere può essere propedeutico, altre, invece, può rivelarsi un’assenza di stimoli che porta la situazioni ad appiattirsi ulteriormente.

Of: Quindi cosa è consigliabile fare? Parlarne o non parlarne?
Migliarese: Se la situazione non è ancora patologica, è fondamentale che la famiglia parli, non neghi l’esistenza del problema e che, soprattutto, rimanga unita.

Of: E se la situazione è già abbastanza preoccupante?
Migliarese: Se ci si trova a vivere una situazione già grave e pesante, può essere la famiglia in prima persona che si interessa a portare il proprio caro da uno specialista, facendogli capire che può essere una strada da percorrere per farsi aiutare.

Of: Cosa pensa dei casi di suicidio legati alla perdita del lavoro o a difficoltà economiche, riportati dalla cronaca attuale?
Migliarese: Purtroppo si sente e si legge di innumerevoli suicidi da parte di lavoratori, soprattutto imprenditori. In un momento come questo, è fondamentale non tagliare risorse ai servizi di salute mentale, che spesso sono gli attori principali nella gestione di questi problemi.

Of: Cosa suggerisce lei, quindi, per affrontare il problema?
Migliarese: È importante che sia riconosciuto il ruolo che il settore psicologico e psichiatrico riveste nell’aiutare a superare queste difficoltà e che vengano effettuati continui sforzi preventivi, anche sui mezzi di informazione.

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